di Elfriede Jelinek
Traduzione Luigi Reitani – Werner Waas
Con Romina Mondello
scene Jessika Koba
costumi Pamela Aicardi - realizzazione Lara Frio
luci Andrea Violato
musiche e suoni Andrea Salvadori
regia Emilio Russo
produzione Tieffe Teatro Milano – CMC/Nidodiragno
Vicenza, Ridotto del teatro Comunale, 16 febbraio 2022
Una dimensione definita come altrove, dove i metaforici spifferi d’aria, di gelo, che senti sulla pelle sono suoi, di Jacqueline, e sono nostri, che la guardiamo e osserviamo. Brividi che le percorrono tutto il corpo, la testa, in una sorta di limbo dove si muove e sussurra attorniata dai suoi fantasmi, quei fantocci che popolano il luogo metafisico dell’azione. Jackie è ora sola, medita e pensa, ripensa. Lo spettacolo, messo in scena da Emilio Russo con Romina Mondello, visto al teatro Comunale di Vicenza, scritto da Elfriede Jelinek, autrice austriaca d’impegno, Premio Nobel nel 2004, è di una bellezza travolgente, nel suo disegnare una delle icone del Novecento “oltre” la vita terrena e i suoi vissuti. Che sanno non solo di lusso, prestigio, agiatezza, perché c’è molta amarezza nel racconto fatto a se stessa quindi agli altri, c’è sofferenza e dolore in Jacqueline Lee Kennedy Onassis nata Bouvier. Sembra quasi un mea culpa, una consapevolezza di aver vissuto con delle limitazioni accettando compromessi, deviando in qualche modo la sua vita verso derive di solitudine, rancore, vuoto. Portandola a morire di cancro, ancora in età giovanile. Cosa si porta dietro Jackie in tutta la sua espiazione e in tutto quel rimorso raccontato? I figli morti, i potere, la ricchezza, un marito presidente degli Stati Uniti, ma anche donnaiolo, avvezzo a libertinaggio e debolezze varie, che “si fionda in tutte le femmine”, al quale sta accanto tra piacere e dovere, convivendo con le proprie ossessioni, che in fin dei conti possono essere quelle di una donna, qualunque, fragile, persa. Le amanti del marito, l’amante per eccellenza, “quella Marilyn” che proprio non sopporta, e che si è infilata nel rapporto coniugale senza porsi nessuna remora. E poi una madre, uno sparo, il suo vestito rosa rimasto nella storia, In undici quadri contrassegnati da un titolo che ogni volta raffigura uno stato d’animo, e che dopo il potere diviene subito “un mare di lacrime”. Jackie si muove sofferente e scomposta, lontana una vita dal personaggio-icona che tutti conosciamo, fortemente gracile, sussurrante, impietosamente messasi a nudo, spogliata di orpelli, e vestiti simboleggiati solo da uno spolverino abbastanza sciatto. Già, quei vestiti tanto simbolo del suo essere, ricordi e fissazioni, come il punto vita. Il segreto finalmente recepito, sta nel saper stare con se stessi, risparmiandosi, e liberandosi, ad uno ad uno, anche dei fantocci scaraventandoli via, lontano. Ritornare purezza, pienezza, allontanando spettri di ogni tipo da sé. Saper distinguere l’apparire dall’essere, finalmente. Trionfare giocosa, se si riesce. Libera, se si può, e ora ormai in quel limbo, in quell’altrove ci si deve riuscire. Jackie tra i ricordi ossessionanti non indossa nulla che faccia pensare al suo charme, è a piedi nudi, che trascina a volte anche volteggiando, più spesso sentendoli pesanti come grosse pietre di roccia pura, pesanti come la propria testa. La regia dosa ottimamente l’attrice, dando una giusta dimensione curata e d’impatto che sfiora la perfezione. Merito di una bravissima attrice, Romina Mondello, che usa sfumature a più non posso sublimando il proprio lavoro, ora allegra e cantilenante ora ripiegata nelle piccole, brevi frasi accennate, troncate talvolta. Da citare sono le straordinarie luci di Andrea Violato, e i bellissimi suoni e le musiche di Andrea Salvadori, divise tra affanno e tormento, leggiadria (poca), struggenti come sono. Uno spettacolo, se possibile, da rivedere per perdersi, con piacere vero, climax estatico, a tratti vertiginoso. Cercatelo nei teatri.
Francesco Bettin