di Georges Bizet
Direttore Gabriele Ferro
Regia e coreografia Thomas Lebrun
riprese e adattate da Angelo Smimmo
Scene Antoine Fontaine
Scenografo collaboratore Roland Fontaine
Costumi David Belugou
Luci Patrick Méeüs
riprese da Nolwenn Annic
Assistente alla coreografia Valentina Golfieri
Coro, Corpo di ballo e Orchestra del Teatro Massimo di Palermo
Maestro del Coro Salvatore Punturo
Direttore del Corpo di ballo Jean-Sébastien Colau
Allestimento dell’Opéra national du Capitole de Toulouse
Personaggi e interpreti
Nadir Dmitri Korchak
Leïla Federica Guida
Zurga Alessandro Luongo
Nourabad Ugo Guagliardo
Palermo, Teatro Massimo, 14 aprile 2024
La chiave per interpretare l’approccio del regista Thomas Lebrun a Les pêcheurs de perles in scena al Teatro Massimo di Palermo, la offre il regista stesso quando, intervistato per il programma di sala, afferma di essere anzitutto un coreografo. Ed è proprio l’azione coreografica di 12 bravi ballerini a dettare i tempi della messa in scena di questo capolavoro di Bizet, lodevolmente nel cartellone del teatro siciliano. Gli interventi frequenti del corpo di ballo, in bella risonanza con l’orientalismo del tutto immaginario (e immaginifico) della musica, consentono ai cantanti di concentrarsi sull’esecuzione musicale. Le scene dipinte e statiche di Antoine Fontaine, insieme ai coloratissimi costumi “stile Bollywood” di David Belugou, creano una innocua cornice fiabesca, non sempre ben illuminata dalle luci di Patrick Méeüs (riprese da Nolwenn Annic). Come spiega bene Ernesto Ferrero nel suo saggio per il programma di sala, Les pêcheurs de perles si inserisce nell’antica passione per l’oriente coltivata dal nostro mondo, segnando tuttavia una tappa in fondo convenzionale, con la sua trama fatta di ingredienti consueti (amori contrastati, amici divisi dalla passione per la stessa donna, leggi crudeli, sacerdoti fanatici, condanne e salvataggi all’ultimo minuto). Interessante il parallelismo formulato dallo studioso con la poetica di Emilio Salgari, che scrisse di un oriente favoloso e arcaico restando sempre chiuso nello studio di casa sua. I librettisti di Bizet, in fondo, fanno un po’ lo stesso raccontando un Ceylon di maniera, in cui abita un popolo agitato da passioni primitive. Di maniera – ma ovunque raffinatissima – è pure la scrittura musicale nel ritrarre questo mondo lontano che abita nel sogno più che nella realtà. “Non vogliamo più la verità – scrisse d’Annunzio nel 1893 -. Dateci il sogno. Riposo non avremo se non nelle ombre dell’ignoto”. Pregevole, dal podio, la lettura di Gabriele Ferro, capace di porre in evidenza gli indubbi meriti del Bizet fine orchestratore (grazie anche al contributo offerto dagli strumentisti siciliani). Il suono è lucido, l’accompagnamento al canto sempre sensibile, il gioco di agogiche e dinamiche crea un ritmo teatrale capace di accendere di vigore i conflitti, abbracciare con trasporto gli slanci amorosi e sostenere adeguatamente il coro nei suoi frequenti interventi (perfettibile la prova di questo, istruito da Salvatore Punturo). Nella compagnia di canto brilla la stella di Federica Guida, giovane palermitana amatissima dal pubblico locale: la sua Leïla coniuga mirabilmente un flessuoso canto nelle pagine più liriche a una sicura agilità in quelle virtuosistiche, con un suono di cristallina bellezza, omogeneo in tutti i registri, ampio e di bel colore chiaro. L’amoroso Nadir trova nel canto rotondo e scuro di Dmitri Korchak l’interprete ideale per proprietà stilistica e varietà di fraseggio: il pubblico della prima applaude lungamente la sua celebre aria “Je crois entendre encore”, delibata con sfumata e sognante dolcezza. Alessandro Luongo è uno Zurga di solida presenza scenica e sicura vocalità, così come Ugo Guagliardo viene a capo con onore del ruolo di Nourabad. Vivissimo il successo per tutti. Fabio Larovere