Da
Fëdor M. Dostoevskij
Drammaturgia
Umberto Orsini, Luca Micheletti
Regia
Luca Micheletti
Con
Umberto Orsini
Costumi
Daniele Gelsi
Suono
Alessandro Saviozzi
Luci
Carlo Pediani
assistente alla regia
Francesco Martucci
produzione
Compagnia Umberto Orsini
Teatro Astra – Torino, 17 – 23 gennaio 2023
Sulla scena c’è lui solo: in effetti, viene subito da pensare che non potrebbe essere altrimenti, dato che del cast di quel leggendario sceneggiato da decine di milioni di telespettatori gli attori sono quasi tutti scomparsi. Eppure, lui non soltanto c’è, ma ha vigore ed energia per dare voce ancora una volta a ciascuno di essi, far rivivere quelle scene e rivelarne nuove angolazioni.
Lo sceneggiato in questione, ovviamente, è I Fratelli Karamazov, miniserie televisiva diretta da Sandro Bolchi e trasmessa dal Programma Nazionale della RAI nel 1969: una pagina gloriosa di storia della TV; un evento, più che una trasmissione, da fare epoca. E l’attore che riporta a nuova vita quelle atmosfere catodiche è Umberto Orsini, protagonista al Teatro Astra di Torino con Le memorie di Ivan Karamazov (17 – 22 gennaio 2023). Un monologo di cui Orsini stesso firma la drammaturgia, insieme a Luca Micheletti.
Naturalmente, si parte dal più grande romanzo di Fëdor M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, che Umberto Orsini affronta per la terza volta nella sua carriera d’attore: appunto, dopo l’indimenticato sceneggiato televisivo e anche dopo lo spettacolo La leggenda del grande inquisitore (2014). Un titolo che accompagna da sempre la sua parabola di artista e di uomo e sul quale non ci si stanca di riflettere, di elaborare e metabolizzare. Orsini è, ancora una volta, Ivan: l’intellettuale e il pensatore, l’Amleto dei Karamazov; questa stirpe maledetta e destinata a macchiarsi delle più truci colpe.
Il processo per l’omicidio del padre non si è mai concluso: Ivan è al cospetto dei giudici da tempo immemore e ancora ha fiato per parlare come un uomo ormai maturo, che sente di dover estinguere un debito, chiarendo le esatte dinamiche dei propri molteplici delitti.
Ivan si commuove, ripensando agli occhi del tenero fratello minore Alyosha, è percosso da brividi e sete di giustizia, difendendo il maggiore, l’impetuoso e impulsivo Dmitrij; ammette la sua colpa, pubblicamente e senza esitare, descrivendo il modo in cui seppe plagiare l’ingenuo fratellastro Smerdjakov. Il suo schifo verso la casa dei Karamazov, verso un padre venale, buffone e volgare, è immutato. Così anche la totale mancanza di fede in Dio e nel suo contrario (il demonio), ma soprattutto verso il genere umano. Ecco la verità al fondo dell’opera, epica e monumentale, che Ivan sta scrivendo, Il grande Inquisitore: più che l’ateismo, la disperazione che l’uomo gli suscita (accanto al desiderio e all’opportunità, entrambi frustrati, di amare).
In scena, con Umberto Orsini c’è solo una musica tensiva ad accompagnare la sua drammatica confessione: e poi una folla di ombre, i fantasmi (quelli di Ivan e quelli altrui), gli spettri dei delitti e dei castighi. «La vera vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa» (scrive Nathalie Sarraute, ripresa da Orsini), ma l’autore Dostoevskij al personaggio di Ivan non concede di morire, bensì, solamente di fuggire. Dannandosi in eterno.
Giovanni Luca Montanino