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MEDEA – regia Federico Tiezzi

"Medea", regia Federico Tiezzi "Medea", regia Federico Tiezzi

di Euripide
Traduzione: Massimo Fusillo
Regia di Federico Tiezzi
Interpreti: Debora Zuin, Riccardo Livermore, Laura Marinoni, Roberto Latini, Alessandro Averone, Luigi Tabita, Sandra Toffolatti, Francesca Ciocchetti, Simonetta Cartia
Scenografia: Marco Rossi
Costumi: Giovanna Buzzi
Disegno luci: Gianni Pollini
Maestra del Coro: Francesca Della Monica
Arrangiatore Coro e Voci: Ernani Maletta
Regista assistente: Giovanni Scandella
Musiche originali del prologo: Silvia Colasanti
Produzione: Fondazione INDA di Siracusa, 58ª Edizione
Teatro greco dal 12 maggio al 24 giugno 2023

www.Sipario.it, 14 maggio 2023

Medea, un piccolo nome con tre vocali e due consonanti, ma una grande figura diventata il vessillo di tutte le donne tradite dai loro uomini che si vendica nei modi più violenti, uccidendo i propri figli, la promessa sposa di suo marito Giasone e il futuro suocero Creonte. Nessuno riesce a fermare questa femmina che nella storia della letteratura ha intrigato Seneca e Corneille, Grillparzer e Pasolini, raccontando ognuno con il proprio stile i rovelli d’una figura fra le più esecrate e demoniache, dipinta dallo stesso Euripide come “donna di pietra” o come “leonessa che ha appena partorito più selvaggia di Scilla”. È uno tsunami, una slavina, una valanga che avanza inesorabilmente sino a quando non ha finito di compiere ciò che s’era prefissato. È uno dei pochi personaggi, forse l’unico del mondo classico evocato ai giorni nostri, quando una donna qualunque si comporta come lei, rinunziando a essere madre verso quei figli messi al mondo con un uomo che ha preferito il talamo di un’altra donna. Federico Tiezzi nel mettere in scena al Teatro greco di Siracusa questa eroina di 25 secoli fa ne fa una donna contemporanea d’un dramma novecentesco, magari scritto da Strindberg, Ibsen o Pirandello, utilizzando una scena che comprende almeno tre saloni eleganti con cinque colonnine sormontate da busti della classicità, una sfilza di sedie, un paio di tavoli, pavimenti lucidissimi che andando verso il fondo diventano bianchi, pure semoventi, agghindati ai lati da tubi metallici e segmenti di luci al neon (nel ricordo forse di due recenti lavori di Thomas Bernhard). Una scena raffinata (quella di Marco Rossi) che sintetizza la reggia di Creonte dove vi compaiono due gruppi corali, uno in bianco l’altro in azzurro dal sapore indiano, i due figlioletti di Medea giocano al pallone indossando delle maschere da piccoli conigli bianchi, mentre il Creonte di Roberto Latini e i suoi seguaci s’avanzano sulla scena indossando sopra dei completi grigi delle maschere verdi di famelici coccodrilli. Da canto suo la Medea di Laura Marinoni, bellissima in blu cobalto e nero con maschera di aquila sul volto e lungo strascico a forma di coda (i costumi sono di Giovanna Buzzi), la prima parola che dice a Giasone, quasi un dandy vestito di nero quello di Alessandro Averone, con cappotto d’identico colore, è: «bastardo», ricordandogli che per lui ha tradito il padre Eeta, re della Colchide, ucciso suo fratello Assirto, pure Pelia (zio di Giasone) e che ha fatto tutto questo solo-per-amore di un uomo, diventato grazie a lei, eroe della Tessaglia, tutto dedito con i suoi compagni Argonauti alla conquista del Vello d’oro e che senza i suoi poteri di maga esperta di occulto, giammai sarebbe riuscito nell’impresa. Giocano a sfavore di Medea l’essere straniera, una barbara che Creonte vuole esiliare, allontanare da Corinto perché diventata ingombrante, fastidiosa, senza sapere questo coccodrillo i disegni che l’infernale donna gli sta preparando, allorquando riceverà i doni d’un matrimonio che mai verrà celebrato. Non può reggere il rampantismo di Giasone di fronte ad una donna come Medea che se ne sarebbe dovuta stare buona-buonina nel vedere il marito andare sposo della fanciulla Glauce, accudire i suoi figli quando glielo avrebbero permesso, diventare probabilmente solo una specie di badante d’una famiglia allargata. Certamente l’apparizione di Egeo di Luigi Tabita vestito di bianco e lobbia in testa, sposato due volte senza prole, porge a Medea un salvagente dicendole che le avrebbe dato rifugio ad Atene in cambio delle sue arti magiche per fargli avere dei figli.  Ciò che invece accadrà sarà il suo regalo di nozze, un peplo ricamato e una corona d’oro, che una volta indossate dalla futura sposa sprigioneranno fuoco e fiamme, tali da squagliare il suo corpo unitamente a quello del padre Creonte che nel volerla salvare anche lui morirà miseramente. Episodio quest’ultimo raccontato con molto trasporto ed enfasi dal Messaggero di Sandra Toffolatti. Infine l’infanticidio, giusto per sbranare il cuore di Giasone, che da qui in avanti sarà solo un fiume piangente dopo avere appreso il fattaccio, mentre lei, Medea, volerà sul cestello d’una gru che emula il carro del Sole, di cui lei stessa ne è nipote. In evidenza la Nutrice di Debora Zuin, la prima Coreuta Francesca Ciocchetti e il doppio Coro, vero polmone canoro e salmodiante dell’allestimento, una parte poi utilizzata a “sporcare” di rosso-sangue quella parte bianca del salone. Spettacolo in grado di travolgere e sconvolgere chiunque, anche i 5 mila spettatori che occupavano l’intera cavea che non smettevano di applaudire. 

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Lunedì, 22 Maggio 2023 16:16

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