di e con Giuliana Musso
regia Giuliana Musso
collaborazione alla drammaturgia Alberto Rizzi
scene e assistenza Tiziana De Mario
musiche eseguite da Andrea Musto
direzione tecnica Claudio “Poldo” Parrino
foto Adriano Ferrara
sarta Nuvia Valestri
produzione La Corte Ospitale
con il sostegno di MiC e Regione Emilia-Romagna
PREMIO CASSINO OFF 2017
SELEZIONATO DA ITALIAN PLAYWRIGHT PROJECT 2019
San Ginesio – Ginesio Fest 2023 Chiostro Sant’Agostino 20 agosto 2023
Milan Kundera ne L’immortalità si chiedeva: di coloro che passano a miglior vita cosa resta impresso nella memoria collettiva? Il modo in cui la morte è avvenuta: se è eroico, la vita di costoro lo sarà altrettanto; in caso contrario, si tratterà di un’esistenza da opera buffa destinata ad allietare i racconti dei posteri. Giuliana Musso in Mio eroe sembra partire da questo assunto per riflettere, però, su come il dolore della perdita di un figlio, da parte di una madre, viene vissuto, metabolizzato e tentato di superare. Lo spettacolo è un lungo monologo, nel quale tre madri, molto diverse tra loro sotto il profilo del vissuto personale, del modo di reagire al lutto e di tentare di ricrearsi un futuro già compromesso e tutt’altro che roseo, ricostruiscono l’evento di come hanno appreso la notizia della scomparsa dei loro figli. Da qui, rievocano il passato nel tentativo di capire cosa può aver spinto ogni singolo ragazzo ad andare in missione durante la guerra in Afghanistan, consapevoli di rischiare la loro vita e non tornare mai più in famiglia. Il comun denominatore a tutti e tre i giovani volontari è: aiutare popolazioni più bisognose. Non si tratta soltanto di un atto di altruismo. Dal testo della Musso, si percepisce che tale atto di volontà si manifesta come risposta unica ad una vera chiamata alla quale è impossibile restare sordi. Sotto il profilo drammaturgico, Mio eroe è un lavoro privo di retorica, che ben tratteggia i vari lati della psiche delle tre madri rappresentate senza cercare di esprimere un giudizio sulla loro elaborazione del lutto, ma seguendone i singoli destini fase per fase rimanendo un passo indietro. Perché un dolore così forte, impossibile da immaginare e comprendere a meno che non lo si sia vissuto in prima persona, può essere raccontato con quel tanto di distanza immaginativa che consente una rappresentazione verosimile: l’unica forma di realismo che la poesia può concedersi, una sorta di cannocchiale di Palomar alla Calvino, che Giuliana Musso usa con grandissima maestria. Ciò non vuol dire rendere la scrittura fredda e cerebrale, semmai una superficie trasparente nella quale ci si può specchiare e, secondo i casi, riconoscersi. Giuliana Musso ha dato vita a un’interpretazione straordinaria. Ha caratterizzato ogni singola madre con un tono diverso della voce, ritmi differenti nel porgere le battute. Per non parlare della mimica facciale: rassegnata ma malinconica la prima, aggressiva ma non meno sofferente la seconda, addolorata ma infine consolata l’ultima (perché, delle tre, è l’unica che ha avuto la fortuna di vedere il figlio tornare a casa). In uno scenario scarno, di soli vasi funebri e con dei fiori di plastica e una panca sulla quale si siede all’occorrenza, la Musso, con la sua sola presenza, ha riempito la scena dando l’idea che sul palco ci fosse una compagnia ricca di attori. Uno spettacolo di tale potenza, così magnificamente interpretato, andrebbe senza dubbio rappresentato nei maggiori teatri nazionali. Pierluigi Pietricola