parole e voce Giovanni Lindo Ferretti
con Giovanni Lindo Ferretti
arrangiamenti, percussioni e vibrafono midi Simone Beneventi
suono Mauro De Pietri
disegno luci Luca Pagliano
77.mo Ciclo di Spettacoli Classici
Vicenza, Teatro Olimpico, 19 ottobre 2024
PRIMA ASSOLUTA
Apertura e chiusura, Meredith Monk, e Giovanni Lindo Ferretti, maestri della voce. Con un’appendice del tutto finale, in questi Classici del Teatro Olimpico, l’ultimo guizzo a cura del duo Montanari-Martinelli, coppia di fatto e di alta cultura e forma teatrale: La notte dei poeti, con, tra gli altri, Mariangela Gualtieri. Si è aperta e conclusa così la 77.ma edizione, tra lo spirito-corpo-voce della Monk, e il resoconto del divino nel più ampio senso della parola, di Ferretti nel suo Moltitudine in cadenza, percuotendo. Spettacolo di un rigore a dir poco profondo e integro, dove suoni e pensieri si fondono, prendono forma nelle più svariate pieghe personali, ricordi di musica e di esistenza. Un mondo ferrettiano che esce allo scoperto centellinato, meraviglia di racconti sparsi, che anche grazie all’attentissimo apporto del musicista Simone Benvenuti va ad aleggiare, si rinnova, si espande. E’ ritualità in forma teatrale, come lo stesso Ferretti ha dichiarato. Non è teatro puro, non è musica e canzone ma un mescolarsi di entrambe le cose, una specie di incanto che giova al pubblico, numerosissimo e in finale preda a passione estrema, riconoscenza. Certamente in questa occasione un grande aiuto lo dà lo spazio del Teatro Olimpico, che in qualche modo sembra suggerire anfratti verbali che in una sala anonima avrebbero avuto probabilmente minor effetto, seppur lo stesso corposamente pieni, decisi. Ecco dunque venire a noi, pubblico dinanzi a un’ispirazione divina, un maestro della parola e del bel canto, questo va da sé. Come altre volte qui la parola stessa si estende, si applica, viaggia universalmente nello spazio e nel luogo, concentra e qualche volta spiazza, positivamente s’intende. Viaggio artistico in perenne luce e ombre, non suoni male il binomio, qui si è di fronte a un magma meditato e meditativo, invitante alla riflessione al cubo. Altro protagonista della scena, suo malgrado, oltre a declamante e musicista, è il cavallo Tre di tre, amato quanto basta, omaggiato in mille e più forme da Ferretti che ne è stato il proprietario, parola peraltro sbagliata in questo contesto. Tre di tre è stato un conquistatore del cuore di Ferretti, ne ha accompagnato assieme ad altri simili la via, e ora compare oltre che nel racconto anche fisicamente come teschio equino sul palco, accarezzato e baciato più volte, lasciando ai presenti una sensibile emozione. Racconti, quelli di Giovanni Lindo Ferretti che, siano musicali o meno, raggiungono vette di assoluta bellezza, e sì che son momenti di vita, analisi, concetti spaziali tra religione, sussistenza, accadimenti. Visioni, ecco, tutto si assume in questa parola semplice, dove torna fuori a tratti il cantante punk, ora più orientato all’osservanza. Che sia un bilancio del proprio percorso, con aneddotica e omaggio alle anime animali è quasi palese del tutto, un cammino a ritroso, un visionare accorto e lucido su ciò che si vive e su ciò che sta attorno, di buono e meno buono, del campionario che l’umano riserva. E che Ferretti ha incontrato, gustato o meno. Diversi i brani proposti, molti decisamente ipnotici: da A tratti, S’ostina, Inquieto, Contatto, alle ballate dell’assoluto, Cronaca montana, Cavalli e cavalle, fino al crescendo pregevole, sulfureo del Te deum e dell’unico bis proposto, Intimisto, ennesimo alto momento lirico. Appare come un uomo distante se non da tutto, da molto. A parte i suoi cavalli, anime selvagge, nobili. Unici e forse puri. Come questa performance detonante che va al di là di ogni superficiale simbologia, comunque. E che scatena, più che giustamente, ovazioni. Francesco Bettin