di Vitaliano Trevisan
Regia e ambientazione di Andrée Ruth Shammah
Con Alessandro Haber, Martino Duane, Pia Panciotti, Pietro Micci
Prod. Teatro "Franco Parenti"
Compagnia "Gli Ipocritii"
Teatro Quirino dal 10 al 22 maggio 2011
Al Quirino di Roma si sono concluse le repliche di "Una notte in Tunisia", lo spettacolo di Vitaliano Trevisan ed Andrée Ruth Shammah, ispirato al caso-Craxi e di nuovo in tournée nazionale ad inizio del prossima stagione, considerato l'interesse di pubblico e di critica suscitato a più livelli di fruizione.
Probabilmente, perché, diversamente da quanto previsto, l'allestimento (dai toni onirici, rarefatti, claustrali) non ha finalità assolutorie, né –tanto meno- di immediata invettiva politica. Scarno e scarnificato persino di quel sentimento di "pietas" umana che, in genere, viene assegnato, post mortem, ai personaggi sconfitti dalla Storia. Del Craxi statista e imperioso decisionista (del suo volontario "esilio" ad Hammamet) affiora, semmai uno strano alone "pilatesco", una sospensione di tempo e di giudizio (storico, umano, politico) che colloca il protagonista all'epicentro di un in incubo stremante ed emblematico: quasi da girone dantesco ascrivibile ai "peccatori" di superbia e ipertrofia dell'ego.
Non conosciamo (non abbiamo letto) il resoconto filiale "Route el Favar" con cui Bobo Craxi, in collaborazione con Gianni Pennacchi, ha inteso divulgare ai detrattori del padre il suo solitario "finale di partita": in una ridda di ipotesi e pensieri donde nascono sospetti, rancori, profezie - indicativi di una natura "incapace di fingersi ciò che non è, tanto da preferire la morte piuttosto che fingersi un altro" . Può darsi. Come può anche darsi che tale "nobiltà" e fierezza debba storicamente indietreggiare di fronte all'ipotesi di un destino meno grandioso e "napoleonico": ovvero il timore, il rifiuto, l'ostinata convinzione di non dover sottostare alle leggi di un Paese che "non merita" uomini della "sua schiatta", della sua tempra.
Terreno minato, ovviamente, sul quale Trevisan e la Shammah procedono con prudenza e sobria modulazione di timbri espressivi: pro o contro l' "esemplare" politico che l'uomo rappresentò per il suo tempo (quella dannata idea dell'Italia "da bere" e godere, da trasformare in levriero europeo dai "tanti balzi in avanti"- verso dove?), essendo poi archetipo di ben altre scorrerie e declino della politica a mucillagine di sudditi, valletti e peones.
Diremmo infatti che "Una notte in Tunisia" non "ambisce" al dibattito politico coincidente con il personaggio e la fine della Prima Repubblica.
Preferendo adeguarsi ad una sorta di calco sartriano, genere "A porte chiuse", dove –nel vestibolo estremo- sta un uomo solo e recalcitrante, ipocondriaco e sentenzioso, spiato in tralice da una sorta di maggiordomo luciferino e sorvegliato- più lontani- da una moglie e da un fratello in vena di ciacole e di spigolature di basso profilo.
Necessarie però a contrastare (a rendere vana) la sequela di anatemi, avventati giudizi (su uomini e cose) che l'uomo di "potere", spogliato del suo attributo, affida alla improbabile "gratitudine" dei posteri che dovrebbero riconoscerne la sommità di statista dallo sguardo lungo.
Sia reso inoltre onore ad Alessandro Haber che, contrariamente alla sua natura (al suo tipo recitazione spesso eccitata e sopra le righe) disegna un personaggio senza generalità anagrafiche, inchiodato in un eterno (beckettiano) presente affollato di rabbia, sconfitta, penombre di malattia. Prigioniero di un anfratto sperduto nel tempo e dello spazio: come un qualsiasi Prospero di shakespaeriana "Tempesta" -senza più capacità di seduzione e sortilegio.
Angelo Pizzuto