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D.N.A. DOPO LA NUOVA ALBA – regia Alessandro Di Murro

"D.N.A. dopo la nuova alba", regia Alessandro Di Murro "D.N.A. dopo la nuova alba", regia Alessandro Di Murro

Scritto da Anton Giulio Calenda
Regia di Alessandro Di Murro
Con Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Maria Lomurno, Eleonora Notaro, Laura Pannia
Musica originale Enea Chisci
Scene e costumi Laura Giannisi
Aiuto regia Tommaso Cardelli
Assistente alla regia Jessica Miceli
Luci Matteo Ziglio
Vocal coach Pamela Massi
Direttore di produzione Pino Le Pera
Ufficio stampa Maya Amenduni
Teatro Basilica Stagione 2020-2021 al 30.09 al 04.10 e dall’08.10 all’11.10 2020

www.Sipario.it, 10 ottobre 2020

Anton Giulio Calenda è un giovane drammaturgo da seguire con interesse. I suoi testi si concentrano su alcune storture della società contemporanea, quella che Debord chiamava “società dello spettacolo”, le quali, spettacolarizzate a loro volta, mostrano il lato grottesco, a tratti buffonesco ma non per questo meno drammatico. Se con Generazione XX si assisteva al dramma di una gioventù alla quale era preclusa ogni possibilità di riscatto da un passato opprimente e decisamente punitivo, con D.N.A. dopo la nuova alba ci si trova di fronte ad una tonalità diametralmente opposta: la possibilità che, malgrado un presente non roseo e che certamente non lascia ben sperare, comunque vi sono ragioni per aspirare a un futuro migliore assieme al diritto di realizzarlo come lo si immagina. Non solo, quindi, un ritratto severo e in chiave ironica della nostra società, ma anche la concreta possibilità di un avvenire diverso da un presente ormai irrimediabilmente infettato. E ciò a dispetto di tutti: dell’autorità politica che abusa del suo potere per dominare chi è debole e indifeso; dei tipici intellettuali che Angelo Maria Ripellino non a torto chiama “pennivendoli” e che approfittano di ogni tragedia pur di trarne un profitto personale a dispetto di qualsiasi valore poetico; infine di presunte divinità che, stanche della loro esistenza, usano le vite umane come un banale gioco di dadi.
Mai come oggi l’idea di una “peste” che ci infetta – come si legge nelle note di regia – appare attuale e calzante. In tempi in cui la scienza medica sembra essere la sola a dominare in modo pervasivo il mondo e a regolare (se non per sempre, per un lungo periodo certamente sì) i rapporti fra gli uomini, l’unica maniera per uscire da questa dittatura è l’arte, ovvero la capacità di creare e reinventare il mondo in cui si vive. E il mondo che Calenda osserva, reinventa ed offre al pubblico somiglia ad una matrioska, perché non vi è dimensione – scienza, arte, potere, vita e metafisica – che esista in sé in modo autosufficiente. Il modo per aspirare ad una nuova alba, ad un avvenire diverso da un presente terribile, è solo uno: trascendersi, superarsi. Solo così si riuscirà a rompere la camicia di forza dell’hic et nunc per rientrare, finalmente, nel divenire che non conosce soste né costrizioni.
Molto buona la chiave di regia scelta da Alessandro Di Murro, tutta giocata su una recitazione straniata, a tratti allucinata. Gli interpreti non porgevano le battute, ma sembrava che le cantassero, come se stessero intonando una melodia, o forse un tenue salmodiare che obbligava il pubblico a partecipare con vigile attenzione alla triste vicenda della protagonista senza provarne compassione.
Voglia di riscatto, di progetti vitali e colorati. Questa la sensazione che D.N.A. dopo la nuova alba comunica. La stessa che si prova all’idea che oltre il bunker di Finale di partita la vita, forse, continua. E in tal senso Anton Giulio Calenda ha gettato lo sguardo là dove Beckett lo arrestò.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Lunedì, 12 Ottobre 2020 11:02

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