di Matt Wilkinson
traduzione di Monica Capuani
contenuti video di Giulio Cavallini
con Valentina Virando
Tedacà, Torino, 3 marzo 2024
Capita di imbattersi in testi che sembrano cuciti addosso all’interprete, tale è la percezione di “aderenza” all’ascolto delle parole pronunciate in scena: è questo il caso di Psychodrama, cinquanta minuti di monologo dell’inglese Matt Wilkinson che la torinese Valentina Virando indossa come una seconda pelle nel pregevole allestimento diretto da Valerio Mieli. Una quasi ex attrice si trova a sbarcare il lunario facendo la commessa d’abbigliamento fino a quando un bel giorno le squilla il telefono: tra un diritto ed un rovescio di una partita a tennis la sua agente le annuncia in pompa magna la convocazione all’atteso provino per il ruolo di Marion in una trasposizione teatrale dello Psycho di Alfred Hitchcock. A guidare il progetto sarà un regista di fama internazionale, occasione imperdibile per rientrare nel mondo dello spettacolo dalla porta principale: alternando il fioretto ad improvvisi affondi di sciabola, nella scorrevole traduzione di Monica Capuani, la scrittura di Wilkinson disegna un percorso verso gli inferi di sola andata, con piccoli segnali che portano lentamente ad identificare la nuova vita della giovane donna con quella del capolavoro di Hitchcock, pena una progressiva e disarmante sovrapposizione tra mondo reale e mondo immaginario. Il tutto all’interno di una magic box a tre pareti, spazio bianco che i disegni di Giulio Cavallini fanno letteralmente vivere, in un processo di costruzione e decostruzione dell’immagine, attraverso una drammaturgia visiva di disegni e proiezioni che trasforma le parole in veri e propri “personaggi” del racconto, più che in semplice apparato scenografico. E’ in questa cornice che in rapida successione prendono vita i caratteri della storia come le proiezioni di una mente travolta dall’immaginazione per una tragicommedia, fulminea quanto spiazzante, dove tutto sembra essere fisso ed immodificabile: e se Valentina Virando sguazza come un pesce nell’acqua tra pieghe ora grottesche ora drammatiche, sempre in bilico tra realtà e immaginazione, l’eredità per lo spettatore sarà accompagnarsi ad un non trascurabile dilemma che lo porta ad interrogarsi tra l’imbattersi in una progressiva deformazione della finzione artistica o in disarmanti proiezioni di una mente instabile. Mai come in questo caso al singolo spettatore l’ardua sentenza: di certo, quale che sia la risposta, resta la traccia di una bella prova d’attrice ad impreziosire un testo tanto stringato quanto potente. Roberto Canavesi