di e con Rossella Pugliese
Aiuto regia: Beatrice Gattai
Direzione tecnica e disegno luci: Errico Quagliozzi
Costumi: Giseppe Avallone
Assistente alla regia: Arianna Zarri
Produzione: Deneb ETS.
17ª Edizione Campania Teatro Festival. Teatro Nuovo 11 ottobre 2024
Da una coltre di fumo bianco che investe le prime file del Teatro Nuovo di Napoli - una delle tante location di questa 17ª edizione del Campania Teatro Festival - sbuca fuori una figura, non si capisce alle prime se maschile o femminile, che trascina per i piedi ciò che sembra essere un cadavere, che colui o colei, servendosi d’una pala, seppellisce al centro della scena, scorgendovi tra le brume un montarozzo di terra, somigliante ad una sorta di tomba trapezoidale. Diradati quei fumi appaiono chiari i lineamenti d’un uomo in salopette con cappellino in testa, in realtà l’immagine femminile di Rossella Pugliese, autrice-protagonista-regista d’un emozionante lavoro titolato PAPàVERI, con la “à” accentata al centro, che possiamo leggere in due modi: che avremo di fronte dei papà veri oppure, utilizzando il sottotitolo (sempre in piedi) s’individueranno dei papaveri rossi che, contrariamente alla loro breve vita d’un giorno, resteranno caparbiamente ritti, forti e sempre in piedi. Confesso subito che la lingua utilizzata dalla Pugliese era uno stretto dialetto di Cariati, in provincia di Cosenza, per me incomprensibile e che tuttavia riuscivo a capire di cosa stesse parlando, anche perché quello strano slang dai suoni aspirati e gutturali mi sembrava una sorta di grammelot dai chiari accenti calabresi. Incontrando poi la Pugliese nei camerini, mi diceva che questo monologo chiude una trilogia sui rapporti parentali, preceduto da Rusina e Ultimo Stip (che non ho visto) e che quest’ultima capitolo indaga sul difficile rapporto padre-figlio. Ampiamente sbandierato sulla scena dal comportamento viscerale di colui che ad un tratto dice di chiamarsi Felice Mondo, figlio di Giuseppe, una sorta di padre-padrone con cui litigava sempre, limitando la sua libertà. Si muove anfetaminicamente il/la protagonista, andando a mille all’ora sulla “povera” scena, spostando da un posto all’altro una falce, un rastrello e una sfilza di secchi, tutti di colore rosso. E si capisce che i suoi paesani l’accusano d’aver fatto fuori il padre, quando in effetti la causa del decesso si deve ad una caduta. Si trova poi davanti alla corte d’un tribunale e i giudici lo /la condannano a quattro anni di reclusione, non per omicidio ma per sottrazione di cadavere. Lei incassa e va avanti giocando a tratti con un Misirizzi, un balocco d’antan, molto amato dai i bambini, che nonostante le continue botte ritorna sempre in piedi. Il viso di questa straordinaria attrice, si rasserena solo quando verso la fine, scavando ancora sulla sabbia con una pala, capovolge quella struttura tombale, diventata per incanto una barchetta su cui verrà piantato un bastone e un lenzuolo simile ad una vela, pronta a navigare per mari salati, magari in compagnia di Corto Maltese, trascinando infine sulla scena un prato di papaveri rossi che nessun vento di maestrale potrà mai sradicare, ricevendo in cambio dal pubblico una cascata di applausi che la sommergono. Gigi Giacobbe