Di Michele Santeramo
Atto unico
Regia Peppino Mazzotta
Luci Cesare Accetta
Scene e costumi Lino Fiorito
Con Andrea Di Casa e Daniele Russo
Produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini e Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia
Al Piccolo Bellini di Napoli, dal 21 al 26 gennaio 2020
La vera domanda con cui si esce dal teatro dopo lo spettacolo, breve, ma di grande spessore e professionalità, è: sappiamo davvero chi siamo e chi siamo diventati?
Quando si prende posto nella dimensione ridotta e quasi familiare del Piccolo Bellini i due attori sono già in scena, immobili, per poi animarsi e prendere vita appena il pubblico è pronto ad ascoltarli. E infatti nel corso della messa in scena li sentiremo dire: «Noi non siamo entrati qui, eravamo già qui!» O ancora: «Ma perché? Tu ti sei sentito entrare?». Restano lì per tutta la durata della rappresentazione, quasi prigionieri in uno spazio – tempo che a ben guardare non ha né spazio né tempo. Infatti il vero spazio che devono affrontare è quello interiore dei ricordi, dei rimorsi e dei rimpianti. Entrambi sono protagonisti di vite quasi inconfessabili, che finiscono per sussurrarsi l’un l’altro per non farsi sentire, ma in realtà proprio perché invece vorrebbero essere ascoltati dall’altro, da quello sconosciuto capitato là per caso. La domanda che si fanno è se sia possibile cambiare vita e cambiare se stessi fino ad inventarsi nuovi personaggi, nuove passioni, nuove idee, nuovi sé che vivono come avrebbero sempre voluto, che correggono le vite del passato e che salvano le identità precedenti dal male e dagli errori. Quanto è difficile fare una scelta quando ce ne è data la libertà? E cosa faremmo se ci trovassimo davanti a chi ci vuole salvare e aiutare, mostrandosi addirittura nei panni di Gesù? Davvero l’uomo può scegliere ancora il bene, può riparare ai suoi errori e può credere in se stesso e nell’altro oppure ormai questa possibilità è scaduta e non si rinnova? La scenografia semplice, di mura che chiudono i due personaggi senza via d’uscita, mette in evidenza i loro sentimenti e le loro domande, la rabbia divisa tra gli errori che non vorrebbero aver commesso, l’impotenza di non essere riusciti a cambiare e il dolore per la libertà male utilizzata e perché quella stessa libertà è al contempo l’amara consapevolezza che a nessuno importa degli altri e dei loro sbagli, riparabili o meno che siano. La resa dei conti si fa davanti agli altri e con se stessi, un bilancio di cosa sia andato storto e un interrogativo sul perché sia successo, un chiedersi se ormai sia possibile non, come si potrebbe pensare, tornare indietro, ma tutt’al contrario, andare avanti. Nonostante questo l’ironia e le risate non mancano e ci chiediamo, a questo punto: lo spiraglio da cui entra la luce, sul finale, sarà forse la speranza di crederci ancora? Qualcuno ha detto che sono gli sbagli a renderci umani, ma la fragilità dell’uomo stesso lacera l’animo di chi in un luogo astratto, un “limbo” di conflitti e speranze, cerca, tra le incertezze e la paura, fiducia nelle persone e prova a costruirsi una fede tutta sua, che lo aiuti a mostrare la sua verità, ma nonostante questo a perdonarsi e a capirsi, a fermarsi un attimo prima. Come avrebbe detto Fabrizio Moro «prima di sparare, pensa».
Francesca Myriam Chiatto