Di Giusi Arimatea e Giovanni Maria Currò.
Regia: Giovanni Maria Currò.
Con: Tino Calabrò, Alessio Bonaffini, Mauro Failla.
Produzione: Clan Degli Attori
Al Centro Culturale ZOO – Catania
Dal 7 al 15 maggio (e in tournée estiva)
Tutti gli italiani che hanno superato i 50 anni ricordano con esattezza dove fossero il giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Proprio in quel giorno si vive, sulla scena, un evento modesto e straordinario: l’irruzione di un maldestro rapinatore all’interno di una altrimenti sonnolenta bottega di barbiere; lì, otre al titolare, anche un uomo di legge dalla profonda cultura. La trovata scenica si arricchisce dall’arrivo di un’altrettanto maldestra polizia, che imprigiona i tre uomini nel salone, in una surreale convivenza temporanea, sottolineata dalle più famose musiche anni ’70, note che, nel preludio del finale, “costringono” i tre ad una sorta di danza macabra; sino all’epilogo tragico.
Teatro forte, onesto e moderno, reso con una regia ed una recitazione lievi ma profonde, che stigmatizzano le tre tipologie di esseri che da sempre hanno caratterizzato l’umanità: il dotto, il semplice e il disperato.
Una resa scenica che non è “degli” anni ’70 ma “negli” anni ’70, una full immersion che avvicina straordinariamente la vicenda a tutti, nel terzo millennio. Sottolineiamo che, nel 1978, gli abili autori erano ancora bambini. Ma sanno che in quegli anni iniziò la fine.
Alessio Bonaffini, interpretando il rapinatore, è già l’esatto antesignano degli odierni NEET, giovani che la società ha relegato alla marginalità ed alla disperazione, sentimento che oggi, forse per fortuna, non porta neanche al gesto disperato.
Altrettanto odierno è Tino Calabrò che, pur “vivendo” nel 1978, anticipa il totale fallimento della cultura, imbrigliata dalla società dei consumi, che all’epoca portava alcuni intellettuali al terrorismo ed oggi al nulla dell’insignificanza. Sono questi odierni gli “anni di piombo” della Von Trotta.
“In nome omen”, Mauro Failla (la Siciliana “scintilla”) offre da tempo una recitazione brillante e senza tempo, con una postura ed una presenza di scena che raccolgono l’intera storia del teatro, dai teatri in pietra al minimalismo odierno.
Il suo personaggio, per mestiere, tiene in mano il “Rasoio di Occam”: la formula filosofica che consente di escludere il superfluo, ideata dal francescano che ispirò Umberto Eco, nell’ideare il personaggio di Guglielmo da Baskerville.
Infine un gradito ritorno mnemonico, sopraggiunto proustianamente in platea. La magistrale scena della danza ci ha fatto sovvenire una perduta espressione, propria degli “anni ‘70”. I tre bravissimi attori riescono, non solo in quella scena, a mostrare i loro “gomiti tondi”. Ambiziosa condizione attoriale (cara a Vittorio Gassman) prerogativa esclusiva dei grandi interpreti del passato.
In scena, come pesci nel mare.
Francesco Nicolosi Fazio