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IL RITORNO – Scene, costumi, interpretazione e regia di Irene Muscarà

"Il Ritorno", scene, costumi, interpretazione e regia di Irene Muscarà "Il Ritorno", scene, costumi, interpretazione e regia di Irene Muscarà

liberamente ispirato al romanzo Tutto scorre di Vasilij Grossman di Irene Muscarà
Scene, costumi, interpretazione e regia di Irene Muscarà
Produzione: Magazzini del Sale di Messina
Teatro dei Naviganti 28 e 29 gennaio 2023

www.Sipario.it, 30 gennaio 2023

Torniamo ad occuparci di Irene Muscarà, dopo tre anni dal suo spettacolo Le cinque sorelle tratto da Cechov, interpretato da lei stessa al Teatro dei Naviganti di Messina. Lo stesso spazio utilizzato adesso per mettere in scena Il ritorno, liberamente ispirato al romanzo Tutto scorre di Vasilij Grossman, dove l’attrice di Messina, adesso 38enne, interpreta in forma monologante vari personaggi dell’opera dello scrittore sovietico scomparso nel 1964. La predilezione per gli scrittori russi della Muscarà nasce dal fatto che ha vissuto una dozzina d’anni in Russia, laureandosi al GITIS, l’Università Russa di Arti Drammatiche e lavorando come attrice presso la Scuola d’Arte Drammatica fondata da Anatolij Vasilev. Il ritorno, nell’adattamento drammaturgico della stessa Muscarà, è quello di Ivan che rientra a Mosca dopo essere stato rinchiuso per 30 anni in un lager della Siberia. Una pena esagerata inflitta da Stalin che muore il 5 marzo 1953, lo stesso giorno in cui Ivan torna libero, dopo essere stato deportato in quell’inferno ghiacciato soltanto perché da studente universitario aveva dichiarato che la libertà è un bene pari alla vita e colui che la sopprime commette un omicidio. A Mosca si reca dal cugino Nicolay, la cui moglie Maria è preoccupata che possa sporcarle il bagno, informato quasi subito che la sua antica fiamma non è morta e che vive a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo), sposata con un fisico-chimico. E quando quei “normalizzati” cugini gli dicono di rimanere a dormire, lui risponde che non è il caso e va via saltando su un treno che lo porta a Leningrado. Qui incontrerà per strada giusto colui che l’aveva denunziato, un tale di nome Pinegin al quale Ivan, senza rinfacciargli la sua delazione, dirà che non ha bisogno di nulla. Girando poi come uno zombi per le strade della città, Ivan verrà colto da un senso di disperata solitudine, desiderando tornare quasi da dove era venuto, coprirsi con uno straccio di coperta, sorbire una brodaglia qualunque, parlare con gli amici che s’era fatto e dire loro che la libertà ritrovata è terribile, disumana, uguale se non peggio alla prigionia vissuta in quella gelida baracca. Fortuna vuole che Ivan trovi un lavoro da fabbro e un angolo dove stare preso in affitto per 40 rubli da una giovane vedova, pure cuoca e che si chiama Anna Sergeevna, con la quale Ivan si sente di vivere una storia d’amore. Sorprende la semplicità con la quale Irene Muscarà riesca a fare dialogare i due innamoratini, scoprendo solo la manica della giacca, sicché quando parla Anna quel gomito è foderato d’un tessuto a fiorellini e quando parla Ivan viene ricoperto. Il racconto di Ivan si sposta poi su quella striscia di terra deserta, chiamata pure terra di fuoco, che divideva il lager maschile da quello femminile, ricordando una donna di nome Masha, arrestata perché non aveva denunziato il marito, vuotata e stuprata dal guardiano che le rompe due denti e neanche la degna d’un saluto quando viene spostato altrove. Una donna forte e coraggiosa cui le tolgono la bambina, chiusa in un orfanotrofio e tuttavia spera un giorno di potersi ricongiungere con lei e col marito e che uscirà dopo un solo anno, libera ma chiusa in un cassone rettangolare. La voce della Muscarà è chiara, netta, perfetta nella dizione, dolente e affilata come un coltello che ti trafigge il cuore, in piedi o seduta su uno sgabello, vestita di nero, un viso bianco contornato da capelli biondi e due occhi celestini che hanno voglia di piangere il giorno dopo il ricordo mondiale della shoah, dei sei milioni di ebrei morti nei campi di concentramento nazisti, vicini a quel milione e seicentomila dissidenti sovietici deceduti tra il 1930 e il 1956 su circa 18 milioni di persone passate dai gulag, per non dire di quei poliziotti americani che uccidono i neri come niente fosse e le tante donne e giovani intellettuali iraniani di oggi che condannano la dittatura e muoiono impiccati gridando solo una parola: libertà. Anche Ivan troverà la libertà, nella casa paterna sulle coste del Mar Nero, avendo chiaro che tutto è cambiato, solo una cosa è rimasta immutata: l’uomo.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Giovedì, 02 Febbraio 2023 00:12

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