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SARFATTI - regia Andrea Chiodi

Claudia Coli in “Sarfatti”, regia Andrea Chiodi. Foto Elisa Vettori Claudia Coli in “Sarfatti”, regia Andrea Chiodi. Foto Elisa Vettori

Da un’idea di Massimo Mattioli
Di Angela Dematté
Con Claudia Coli
Regia: Andrea Chiodi
Scene: Guido Buganza
Costumi: Ilaria Ariemme
Musiche: Daniele D’Angelo
Luci: Orlando Cainelli
Produzione: MART museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto / Teatro Stabile di Bolzano / Centro Servizi Culturali Santa Chiara
Teatro Franco Parenti - Sala Blu, Milano, 12 luglio 2024

www.Sipario.it, 22 luglio 2024

Forse una delle tante conseguenze, certo indirette, del non aver elaborato fino in fondo la tragedia del fascismo in un moto nazionale condiviso di comprensione storica della sua origine, dei suoi caratteri e della sua persistenza nelle profondità del corpo sociale italiano è stato il tenere a lungo lontane dall’accettazione pubblica alcune figure di artisti e intellettuali che, pur coinvolte con il regime, hanno prodotto opere non indegne di nota. Basti pensare a Bontempelli, i cui romanzi, di recente pubblicati dall’editore Utopia, mostrano uno scrittore tanto originale quanto inedito. Bisognerebbe sottoporre le opere di analoghe figure di artisti-intellettuali al vaglio critico pur riconoscendone l’adesione al regime o continuare a tenerle nell’ombra, come si è fatto, sapendo che tenere qualcosa nell’ombra contribuisce ad alimentarne l’attrattiva, senza d’altra parte aver potuto elaborare gli strumenti per interpretarla? 

In un’ottica di esplorazione critica, conoscitiva, e ben lungi da qualcosa che assomigli a uno sdoganamento, che è operazione esattamente opposta, si può leggere allora questo lavoro su Margherita Sarfatti di Angela Dematté, che aveva già affrontato una figura altrettanto controversa, ma d’opposta ideologia, come quella di Mara Cagol, in uno spettacolo di qualche anno fa.

Il lavoro di Claudia Coli mira all’identificazione piena con il personaggio già a partire dagli abiti e dall’acconciatura d’epoca, e nella gestualità nervosa di una donna in crisi alle prese con gli accessori di una dama emancipata degli anni Trenta. Realismo pieno, nessuno straniamento o dispositivo metanarrativo. Il testo è detto con misura, in un flusso ininterrotto, chiaro sempre, pur nella gestione di scarti continui di periodo storico e di tema, e questo anche per merito della dizione precisa e pulita, mai enfatica, semmai prudente, della Coli. Sarfatti entra in una scena spoglia, incorniciata da una struttura a cubo di tubi al neon bianchi, come a evocare il modernismo anima di quella mostra celebrativa, al Palazzo delle Esposizioni, voluta dal regime nel 1932, e che Dematté sceglie come occasione per far agire a ritroso il racconto della Sarfatti, in un flusso di ricordi che vede emergere tra le altre la figura del figlio Roberto, morto giovanissimo nella Grande guerra. Figura che quasi si sovrappone all’immagine del futuro capo del fascismo, e questa a quella del padre della Sarfatti, come a voler suggerire l’influenza di una costellazione familiare nell’attrazione della donna per Mussolini. 

Sarfatti a partire dai primi anni Dieci è colta da un’intuizione a suo modo formidabile e “fatale”, per usare un aggettivo d’epoca, su cui il testo di Dematté si sofferma: vedere nel carisma di quel giornalista insieme inquietante e goffo qualcosa che poteva risuonare con l’impulso a rendere visibile la novità del Novecento italiano nel campo dell’arte, in un sogno assimilato all’immagine sfolgorante di una specie di nuovo Rinascimento. In Mussolini Sarfatti vede infatti “il nuovo e l’antico” uniti in una personalità unica. Ma benché l’errore che la spinge a costruire, come una sorta di propria personale opera d’arte, il “personaggio” Mussolini – che quell’arte nuova del ’900 poi abiurerà (puntuale il riferimento agli sport che sostituiranno l’arte nella retorica del regime) – sia stato in qualche modo attenuato dal tardo riconoscimento di aver alimentato una mostruosità politica (che tra l’altro colpirà anche lei in quanto ebrea), impressiona il fatto che, da parte del personaggio Sarfatti, sembra non emergere, come un dato pericolosamente anticipatore della dittatura vera e propria (che si instaura pienamente dopo il delitto Matteotti), alcuna consapevolezza riguardo al regime di violenza diffusa che il fascismo aveva promosso e sostenuto fin dalla sua nascita, e con il quale aveva preso il potere.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Domenica, 28 Luglio 2024 09:02

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