di Louis-Ferdinand Céline
Traduzione di Ernesto Ferrero
Adattamento teatrale e regia Claudio Collovà
Interpreti e personaggi (in ordine alfabetico) Serena Barone (Vecchia Henrouille), Sergio Basile (Ferdinand Bardamu Céline),
Angelica Dipace (Le Madri), Gianluigi Fogacci (Leòn Robinson in Francia), Margherita Laterza (Lola d’America / Madelon),
Luigi Mezzanotte (Bestombes / Parapine / Don Protiste), Antonio Orlando (Leòn Robinson in Guerra / Genero Henrouille),
Nicolas Zappa (Ferdinand Bardamu in Guerra)
Scene e costumi: Enzo Venezia
Luci: Pietro Sperduti. Musiche: Giuseppe Rizzo
Assistente alla regia: Valentina Enea
Scenografa assistente e attrezzista: Giuseppina Giacalone
Assistente ai costumi: Ilenia Modica. Direttore di scena: Sergio Beghi
Produzione: Teatro Biondo di Palermo
Prima nazionale Teatro Biondo sala grande dal 6 al 15 maggio 2022
Sembra scritto oggi il romanzo Voyage au bout de la nuit (Viaggio al termine della notte) di Louis-Ferdinand Celine, invece sono passati 61 anni dalla sua morte e 90 da quando è uscito nel 1932. Un’opera attuale non solo perché parla d’una guerra che somiglia a quella di oggi in Ucraina, ma per tutto ciò che vive la gente coinvolta in un tempo in cui non esistevano i social e internet. Un libro fra i più importanti e formativi del Novecento quali Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, Ulisse di James Joyce, L’uomo senza qualità di Robert Musil, La montagna incantata di Thomas Mann, La coscienza di Zeno di Italo Svevo, Il gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse. Certamente avrà molto faticato Claudio Collovà nel ridurre teatralmente un testo di quasi 500 pagine che Ernesto Ferrero aveva già tradotto nei modi più efficaci e limpidi, ma la sua pittorica e spettacolare messinscena al Teatro Biondo di Palermo (che sta attraversando un momento di crisi economica per colpa del Comune che non ha i fondi da assegnare al Teatro e onorare così’ stipendi per il personale, maestranze e compagnie ospitate), con un occhio a Magritte e l’altro a Rothko, lo ha ampiamente ripagato. Incentrando il suo spettacolo, in due tempi di tre ore con un intervallo, sulla prima parte del romanzo riguardante la guerra nelle Fiandre tra francesi e crucchi tedeschi e quelle pagine paracentrali e finali che riguardano Ferdinand Bardamu, alias Celine, cui dà vita uno straordinario Sergio Basile, diventato medico in una Parigi disastrata e impoverita, tralasciando il Voyage centrale del protagonista nell'Africa coloniale e negli Stati Uniti del primo dopoguerra. Spicca nel romanzo ma anche nello spettacolo di Collovà la figura di Leòn Robinson, vestito qui da un convinto e convincente Gianluigi Fogacci, un personaggio sventurato ma anche ambiguo, la cui esistenza in certo modo viaggia parallela a quella di Bardamu, sembrando quasi la sua controfigura. Come quasi tutte le opere di Celine anche ‘sto Voyage (utilizzo questo aggettivo dimostrativo come tante volte ha fatto il traduttore Ferrero) è autobiografico e riflette il suo cupo e nichilistico modus vivendi condito di rancore, misantropia e cinismo. Ci sono alcune pagine che ustionano e ci sono alcuni termini nell’argot parigino che te le ricordi per sempre. Non è un caso che la Beat generation dei vari Corso, Ginsberg e credo anche il Kerouac di On the road, così pure Bukowski abbiamo trovato in Celine una fonte d’ispirazione. Dopo aver con questo romanzo denunciato la guerra, Celine appare a molti come un autore impegnato di sinistra, ma ben presto, forse per le gravi ferite riportate in guerra -- se ne fa riferimento nello spettacolo durante il dialogo che il Bardamu di Basile ha col prof. Bestombes del sempre bravo Luigi Mezzanotte-- inizia a sostenere il nazismo e l’antisemitismo con forte convinzione, aderendo pure alla Repubblica di Vichy del maresciallo Petain, capo del governo collaborazionista francese dal 1940 al 1944. Questa la macchia nera di Celine che lo porta ad essere uno degli scrittori più controversi e discussi, non solo del suo tempo, quando prenderanno distanze da lui tutti quegli intellettuali che giravano attorno a Jean Paul Sartre. È una guerra quella di Collovà combattuta su una scena che si colora d’un verde espressionista che via via si stempera in opache nebbie metafisiche all’interno delle quali si scorgono i soldati francesi, comandati dal colonnello Bardamu e Leòn, molti più numerosi di quelli che si vedono perché accanto ci sono i corpi morti di tanti fantocci (un omaggio a Kantor?) che giacciono nelle trincee costruite in un niente con leggeri tubi neri plastificati, mentre i suoni bellici si confondono con fragorosi scoppi di bombe e rombi di aerei invisibili che sorvolano un campo diventato un mattatoio. Si scorge una foresta d’alberi senza foglie che scendono dall’alto (più avanti le scene di Enzo Venezia mostreranno un muro di legno che si apre al centro, la corsia d’ospedale con una fila di lettini, la parete necrofila del fondo scena occupata per intero da venti scheletri disposti su quattro piani), mentre s’affaccia una donna (Angelica Dipace) che trascina su una carriola il suo bimbo morto e che non disdegna di fare contrabbando di bottiglie di vino. Intanto Bardamu ferito viene rinviato convalescente in un ospedale di Parigi dove conosce Lola (Margherita Laterza) un’infermiera americana che s’innamora di lui e che gli fa intravedere la possibilità di recarsi a New York. Dopo varie disavventure Bardamu decide di cambiare vita. Torna in Francia, si laurea in medicina, apre uno studio nel piccolo borgo di Rancy e si lamenta che nessuno gli paga le visite perché i suoi pazienti sono storpi, pensionati, disperati, reietti della società, accettando per campare di procurare aborti. Fra i suoi clienti ci sono i componenti della famiglia Henrouille, i quali vogliono da lui un certificato che attesti la pazzia della loro madre Madame Henrouille (una Serena Barone sempre in un status isterico con gli occhi fuori dalle pupille) per farla internare in manicomio. Bardamu si rifiuta ed ecco entrare in gioco il suo alter ego, ovvero Leòn Robinson (Fogacci) che accetta di diventare un assassino a pagamento costruendo una sorta di gabbietta esplosiva per farle saltare le cervella. Succede invece che commette un errore ed è lui a ferirsi agli occhi, diventando quasi cieco. Succede pure che Bardamu ha perso ogni entusiasmo a fare il medico, ritorna a Parigi, peregrina per la città incontrando il saggio Parapine (Mezzanotte) che gli offre di lavorare in un asilo. Finisce qui il viaggio al termine della notte anche perché nello stesso tempo Leòn Robinson muore ucciso con un colpo di pistola sparato dalla sua amante Madelon (la stessa Laterza), liberando così dalla sua influenza Bardamu. Certamente non dimentico i nomi di Nicolas Zappa e di Antonio Orlando, rispettivamente nei panni di Barnamu e di Leòn durante la guerra e in bella evidenza. Non è un lavoro semplice questo Voyage di Celine. Ne sa qualcosa la Societas Raffaello Sanzio di Romeo Castellucci che dopo averlo rappresentato nel Piazzale Accademia di Francia al RomaEuropa Festival nei primi giorni di luglio del 1999 è approdato nei giorni seguenti al Festival d’Avignone, nel Cortile del Liceo Saint-Joseph (c’ero anch’io) la cui messinscena sotto forma di concerto con cinque vocalist e un mega-impianto d’amplificazione prevedeva un cavallo morto in scena (una sagoma soltanto questa volta) e due grandi dischi bianchi, su cui si proiettavano nel primo immagini citoplasmatiche in movimento, figure astratte non ben definite e sull’altro, filmati d’inizio ‘900, carcasse di cavalli morti o in fin di vita sgorgante sangue dalle giugulari, cadaveri di soldati mutilati della Grande Guerra che facevano fuggire i primi spettatori e fra scoppi di cannoni e mitraglie venivano proiettate immagini di bordelli, vulve e sessi in bella vista, con un finale da rissa che vedeva la tribunetta divisa in due fazioni, tra chi applaudiva in maniera convinta e chi gridava al alta voce intellectuels de merde.
Gigi Giacobbe