Melodramma buffo in due atti
Libretto di Cesare Sterbini dalla commedia
“Le Barbier de Séville ou La Précaution inutile”
di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva: Maxim Mironov
Don Bartolo: Marco Filippo Romano
Rosina: Maria Kataeva
Figaro: Andrzej Filónczyk
Don Basilio: Roberto Tagliavini
Berta: Licia Piermatteo
Fiorello/Un ufficiale: William Corrò
Ambrogio: Armando De Ceccon
Filarmonica Arturo Toscanini
Direttore: Diego Ceretta
Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia, scene e costumi: Pier Luigi Pizzi
Regista collaboratore e luci: Massimo Gasparon
Coproduzione Rossini Opera Festival e Teatro Regio di Parma
Teatro Regio di Parma dal 12 al 20 gennaio 2024
Magnifico “Il barbiere di Siviglia” visto a Parma, regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi “Se c’è un autore che sono stato sempre felice di incontrare, è Gioachino Rossini”: così si legge nel cuore del coinvolgente libro di Pier Luigi Pizzi, “Non si può mai stare tranquilli”, EDT, 2023, un testo di affascinante lettura in perfetto equilibrio tra preziosa storia del teatro e gustoso gossip, un’infinità d’incontri con creativi d’ogni arte, amici cari con cui era gioia immensa poter lavorare. E’ così questo regista dallo sguardo divertito, ironico, un vasto sapere figurativo assimilato tanto profondamente da poterne anche giocare, rigore e divertimento in un tutt’uno, amante della linea di confine tra tradimento e fedeltà per costumi, scenografia, regia. Scrive ancora Pizzi in quella stessa pagina “Si fa presto a dire Rossini…come si fa a spiegare in sintesi la genialità delle sue creazioni, della clamorose autocitazioni, raccontare cos’è un crescendo rossiniano, la comicità irresistibile delle opere buffe, la forza drammatica di quelle serie, l’inconfondibile e sublime ironia, la sconcertante malinconia?”. Molteplici le messe in scena di opere di Rossini a firma Pier Luigi Pizzi, diverse in numerose versioni. Ma è solo nel 2018 che affronta per la prima volta, con Rossini Opera Festival, “Il barbiere di Siviglia”, la realizzazione che ha quindi aperto, rivista con cura dallo stesso Pizzi, la stagione lirica del Teatro Regio di Parma. Una meraviglia! Valeria Ottolenghi
Raffinato, ilare e colto, senza dimenticare Beaumarchais e la Commedia dell’Arte
In verità un incontro c’era già stato, ma solo come scenografo nei primi anni della carriera: “alla soglia dei novant’anni ho scoperto finalmente questo capolavoro. Mi sono limitato a sfruttare ogni spunto offerto da Rossini, felice di servirlo”. Be’: qualcosa di molto, molto di più. O forse così, ma, facendolo proprio, accogliendolo interiormente sul piano musicale, Pizzi ha saputo costruire qualcosa di nuovo, articolato e complesso pur nella sua levità, uno spettacolo d’infinita bellezza per pensiero, visionarietà, definizione dei personaggi, movimenti coreografici, limpidezza d’ascolto, sapendo anche divertire senza dimenticare l’origine, da Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, “Le Barbier de Séville ou la Précaution inutile”, 1775, eccellente anche il libretto di Cesare Sterbini. Sin dalla prima scena assai affini, per abiti ed espressività, il Conte d’Almaviva e Figaro, le classi sociali non più così rigide, tra la fonte ispiratrice e il debutto dell’opera, 1816, il gran sconquasso della Rivoluzione Francese, anche se restano ben definiti in più passaggi i diversi ruoli (al Conte, intrufolatosi con finta identità in casa altrui, basta svelare la propria nobiltà alle guardie per essere considerato intoccabile e Figaro mostra ancora diversi caratteri del servo astuto della Commedia dell’Arte che dà consigli al proprio padrone, accolti qui ogni volta anche se infine poco proficui).
E pur nella limpida astrazione scenografica, il bianco e nero dominanti, solo a tratti qualche macchia intensa di colore per gli abiti, resta il gioco delle due case una di fronte all’altra, del Conte d’Almaviva e dell’amata Rosina (e del suo tutore, quel Bartolo sempre pronto a sorvegliarla, con echi dall’Arnolfo molieriano) che facilita i tipici meccanismi comici del cercarsi, nascondersi, gettare e raccogliere bigliettini, tra travestimenti, inganni, equivoci, movimenti notturni. E nell’eccelsa qualità del canto, tutti bravissimi si sono rilevati gli interpreti anche nell’agire sulla scena Andrzej Filónczyk (Figaro), Maria Kataeva (Rosina), Maxim Mironov (Conte d’Almaviva), Marco Filippo Romano (Don Bartolo) Roberto Tagliavini (Don Basilio) in uno spettacolo certo elegante (l’aggettivo più usato per Pizzi, meritato certo, ma con continui felici sgambetti, piroette, sorprese che giocano dialetticamente con il rigore formale, lo scuotono con allegria senza mai tradirlo veramente) che valorizza insieme le voci e il gesto, con un grado di teatralità elevatissimo, il tutto guidato dalla musica, assai apprezzato anche il giovane direttore Diego Ceretta. Eccellenti nei loro ruoli, agili, spiritosi, oltre a William Corrò (Fiorello, un ufficiale), in particolare Licia Piermatteo (Berta) e Armando De Ceccon (Ambrogio), un delizioso - e travolgente - affiatamento d’insieme, in estasi il pubblico, fiumi di applausi.
Perfetto come sempre il Coro del Teatro Regio diretto da Martino Faggiani e non solo per le voci magnificamente in accordo ma anche per i movimenti nello spazio scenico: ogni volta cresce l’apprezzamento per il Maestro e il coro tutto - e questa volta ancor di più dopo aver visto, a poca distanza, un’opera, inutile nominarla qui, con i coristi disordinati, disattenti, quasi allo sbando. E in tanta ricercata luminosità - lo spazio chiaro architettonicamente mobile, gli ingressi che slittano; la piazza iniziale, con fontana laterale, trasformata quindi in interno di casa Bartolo - i raffinati costumi, le azioni millimetriche, si avverte comunque il piacere dello scherzo che, lontano dalla tradizionale farsa, sa suscitare il riso, così con alcune buffe pronunce, per Almaviva che si presenta come maestro di musica con le scarpe legate alle ginocchia, per alcuni intermezzi di passerelle collettive, e infine per l’ammiccante piacere della tavola, tutti seduti intorno a festeggiare, anche Don Bartolo: nessuna preoccupazione per la dote di Rosina! Una realizzazione strepitosa che non dimentica né Beaumarchais né la Commedia dell’Arte, merito innanzi tutto della visione complessiva, colta, ironica, ricca di guizzi di genio, di Pier Luigi Pizzi che firma, con la regia, anche scene e costumi, coadiuvato da Massimo Gasparon, responsabile del disegno luci, di notevole pregio.