melodramma in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 27 ottobre 1827
Direttore Francesco Lanzillotta
Regia e scene Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi
Costumi Isabella Rizza
Luci Luigi Biondi
Assistente alle scene Chiara Mirabella
Assistente ai costumi Tatiana Lerario
Maestro del Coro Ciro Visco
Nuovo allestimento
Personaggi e interpreti
Ernesto Vittorio Prato
Imogene Roberta Mantegna
Gualtiero Celso Albelo
Itulbo Motoharu Takei
Goffredo Giovanni Battista Parodi
Adele Natalia Gavrilan
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Palermo, Teatro Massimo, 15 ottobre 2021
Era dal 1958 che il Pirata di Vincenzo Bellini non veniva allestito al teatro Massimo di Palermo, senza dimenticare la rappresentazione al Politeama, allora con il Massimo in ristrutturazione, nel 1986 con Maria Dragoni (Imogene) e Salvatore Fisichella (Gualtiero). Prevista per il giugno 2020 è stata rimandata causa epidemia. Finalmente è stata una serata evento e di festa con un pubblico che ha decretato il tutto esaurito con la conquistata della piena capienza del teatro. Del resto Il Pirata è un titolo che gioca in casa, ambientato in una Sicilia medievale in cui fa da sfondo una Palermo travolta dalle lotte tra Angioini e Aragonesi. Vicenda tutta romantica, quella del Il Pirata, fatta di banditi, pirati, e corsari, (su libretto di Felice Romani tratto da un melodramma francese e da un dramma irlandese), protagonisti creati dalle fantasie letterarie in quella fase del Romanticismo teatrale fatta di eroi maledetti ispirati da Schiller e Byron e successivamente ripresi con ulteriori varianti con erranti di terra e di mare. Composto nel 1827 da un Bellini appena ventiseienne, “Il pirata” fu accolto al suo debutto al Teatro alla Scala di Milano da un trionfo senza precedenti che decretò la definitiva affermazione del compositore apportando sostanziali novità nell'impostazione vocale del tenore, allora il tenore Rubini, definendo un nuovo tipo di vocalità romantica che si discostava dal modello rossiniano. Storia di lotte, tra nobili partigiani su opposti fronti: Ernesto, baritono, filo angioio che ha costretto col ricatto donna Imogene, soprano, a diventare sua moglie, nonostante il suo amore per il nobile Gualtiero, tenore, filo aragonese. Gualtiero, esiliato, batte il mare tra Messina e Palermo alla testa di una banda di pirati per vendicare il torto subito e nella speranza di riconquistare la donna che ama, che conduce una sua guerra privata per riconquistare un amore perduto, collocandosi volontariamente al fuori della legge in cerca di onore e di amore. Dopo dieci anni, Gualtiero, sconfitto, fa naufragio proprio nel feudo di Ernesto: agnizione con Imogene, incubi e pianti della donna, furori varii degli uomini fino al duello fatale fra i due rivali. Finisce ovviamente con gli amanti che perdono la testa: Gualtiero in senso proprio, decollato dai nemici; Imogene in senso figurato, iniziando a delirare come tutte queste malmaritate ottocentesche nella consueta scena di pazzia che chiude l’opera. Parlare di naufraghi in Sicilia fa scattare subito i riferimenti con una realtà quotidiana, fatta di relitti umani vaganti anche se qui l'attualizzazione risulta una forzatura in quanto questi naufraghi non sono nè stranieri nè poveri cristi in balia degli eventi umani. E fin già dall'inizio Gualtiero medita vendetta presentandosi già con la sua prima aria "Nel furor delle tempeste, nelle stragi del pirata”. Dobbiamo quindi prendere atto di una regia di Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi, impostata su una idea di attualizzazione ideologica del tema dei naufragi che si squaglia immediatamente non reggendo alla trama stessa del opera per finire in una totale assenza di idee sui personaggi. Il tutto ambientato con una scena molto essenziale da loro stessi ideata impostata su una prua di nave a rotazione di spinta che ricreava il momento del naufragio, poi castello di Caldora, su cui si imposta il recupero dei naufraghi (pirati)da parte dei “pescatori e pescatrici del castello” (così il libretto) e Imogene che li accoglie. Metafora della Sicilia è il relitto della nave dei pirati, “un triangolo rosso a forma di Trinacria, terra archetipica in perenne movimento creativo/distruttivo in cui tutto ciò che muore rinasce dal proprio vorticare e in cui perdere la bussola spesso vuol dire trovare invece la giusta direzione”, affermano i registi, realizzate nei laboratori del Teatro Massimo. Questa barca/Sicilia al centro della scena esprime anche le relazioni che si intrecciano tra i personaggi: il classico triangolo drammaturgico del melodramma romantico esemplificata dall'aforisma notissimo di George Bernard Shaw (L'opera lirica è quella rappresentazione in cui il tenore cerca di portarsi a letto il soprano, ma c'è sempre un baritono che glielo vuole impedire). Risulta funzionale come struttura scenica, in una visione di estrema povertà realizzativa, il movimento del velario, che con funi, (particolare già visto in simili titoli) delimita e movimenta il fondale; costumi di Isabella Rizza ci riportano in un incerto anni'50, molto cittadini piuttosto che di popolani, senza particolare menzione. L'aspettativa era riposta nel cast ben definito, incentrato sul soprano siciliano Roberta Mantegna, già in ruolo alla Scala nel 2018 e avviata ad un percorso di belcanto, nel tenore spagnolo Celso Abelo, (Gualtiero in registrazione streaming dell’opera per Teatro San Carlo di Napoli la scorsa primavera) e con il baritono Vittorio Prato, Ernesto, e direzione di Francesco Lanzillotta a capo dell'Orchestra del Teatro Massimo. Bellini non fa sconti e visto alcune recenti prove confuse si può dire che la nave è approdata in porto sicuro raccogliendo consenso di pubblico. A cominciare da Celso Abelo, Gualtiero, forte di esperienza nei ruoli belcantistici anche se più tendente al lirico che alle arditezze vocali di un tenore leggero di agilità, ha tenuto presente le sue qualità definendo un personaggio esuberante ma non eccedendo negli effetti del canto svettante, come nella sua prima aria strutturata "Nel furor delle tempeste". Ha prestato attenzione al fraseggio, alle parti d'assieme e d'impeto delineando un eroe più nostalgico e di nobiltà sprezzante dei pericoli, risolvendo con attenzione ed equilibrio anche agli ostacoli vocali di cui la sua parte è infarcita.
Roberta Mantegna giocava in casa. Prova vocalmente intensa, capace nel sostenere le parti più acute della parte ma si sta avvertendo, rispetto ad ascolti recenti, una perdita di freschezza nella linea di canto che sta tendendo a indurirsi con la conseguente perdita di morbidezza nel fraseggio. Questo forse le ha fatto impostare il suo personaggio prediligendo l'aspetto più crudo della sua vicenda arrivando ad una lettura improntata su una lettura realistica della condizione di delirio nella scena di pazzia "Oh! s'io potessi dissipar le nubi… Col sorriso d'innocenza" in cui la protagonista tende a scivolare per eccesso di disperazione, riuscendo in tal modo ad entusiasmare la vasta platea dei presenti. Vittorio Prato declina un Ernesto vocalmente statico anche riesce a delineare un personaggio antagonista vendicativo e poi tormentato sin dalla cavatina "Sì, vincemmo, e il pregio io sento" come perentorio nel duetto con Imogene "Tu m'apristi in cor ferita". La direzione di Lanzillotta è segnata da una gestione certamente sicura ma ordinaria non offrendo particolari letture interpretative su una complessa partitura puntando piuttosto sugli stacchi ritmici e sulla gestione attenta dei tempi dei cantanti. I personaggi di contorno, Itulbo (Motoharu Takei), Goffredo (Giovanni Battista Parodi) e Adele (Natalia Gavrilan) erano funzionali alla gestione e alla riuscita musicale della rappresentazione. Coro in mascherina ben inserito nelle sue parti di inizio atti tra pescatori e pirati. Alla fine soddisfazione del pubblico che ha ripreso possesso del teatro nella sua totalità.
Federica Fanizza