TEATRO MASSIMO DI PALERMO
Stabat Mater di Gioacchino Rossini
Direttore Gabriele Ferro
Soprano Carolina López Moreno
Mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya
Tenore Francesco Demuro
Basso Luca Tittoto
Coro e Orchestra del Teatro Massimo - 30 marzo 2024
La Pasqua è momento intenso sia per chi è religioso sia per chi non lo è poiché la forza simbolica di quel rinascere, risorgere dalla propria morte come fa la Natura a primavera, è più forte di ogni esegesi confessionale. Il tempo che viviamo, in particolare l’aggravarsi delle tensioni mondiali, gli sconvolgenti numeri di vittime innocenti che ogni giorno i media riversano nella nostra coscienza, l’aver ripreso a masticare la parola “guerra” hanno reso la ricorrenza di quest’anno ancora più significativa. Valeria Patera
La magnificenza del Teatro Massimo di Palermo ha accolto per questa solennità lo Stabat Mater di Rossini diretto dal Maestro Gabriele Ferro e la comunità cittadina si è raccolta numerosa e vibrante nel teatro che la rappresenta più di ogni altro luogo.
Il M.o Ferro ha fatto veramente dono di sé alla sua città poiché pur avendo subito una lussazione clavicolare per la quale ci sarebbero volute circa dieci settimane di riposo per il recupero, non ha minimamente ceduto ed eroicamente, dopo nemmeno tre di settimane, sostenuto solo da un leggero tutore ha affrontato la direzione del coro e orchestra del Teatro Massimo con energia e presenza di spirito. Dalla mia fortunata postazione laterale in platea ho potuto osservare in primo piano ogni suo minimo movimento che dettava una minuziosa grammatica e punteggiatura direttiva, ho seguito ogni incresparsi del viso, ogni volo emotivo dai sopraccigli alle dita tese della mano verso gli orchestrali e i cantanti cosicché il momentaneo handicap ha finito per dare qualcosa in più anziché qualcosa di meno come se quella sua sofferenza extra fosse una fessura dalla quale si faceva oltremodo presente la ferita di questo presente martoriato .
La grandezza della musica di Rossini, radicata nell’Ottocento ma già attraversata da tensioni e strappi novecenteschi, in quell’armonia che tiene dentro tante fratture, squarci quasi atonali, silenzi sotterranei e contrappunti, nello Stabat raggiunge quell’acme sacro che me lo ha fatto percepire come l’opera più speculare alle increspature dolorose e drammatiche di questa attualità di passaggio di fronte alla quale stiamo come una mater dolorosa sotto il peso di una civiltà moribonda che assiste al disfacimento dei suoi linguaggi e delle sue culture, di quel turbamento che di certo attraversava gli ascoltatori e nella meraviglia musicale che al contempo lo leniva rappresentandolo ed elevandololo a paradigma di altissima estetica grazie all’incisiva splendida vocalità e presenza scenica della soprano Carolina López Moreno e della mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya, la resa nitida e potente del basso Luca Tittoto e del tenore Francesco De Muro. L’applauso lungo, lunghissimo scrosciante di un pubblico commosso e grato ha detto tutto ciò che le parole non possono dire e che quindi non aggiungo.