Libretto: Francesco Maria Piave
Musica: Giuseppe Verdi
Violetta: Gilda Fiume
Flora Bervoix: Marina Ogii
Annina: Carlotta Vichi
Alfredo: Riccardo della Sciucca
Giorgio Germont: Leon Kim
Gastone: Mauro Secci
Barone Douphol: Nicola Ebau
Marchese: Andrea Tabili
Dottor Grenvil: Mattia Denti
Direttore orchestra: Beatrice Venezi
Regia e luci: Henning Brockhaus
Coreografie: Valentina Escobar
Maestro del coro: Giovanni Andreoli
Orchestra e coro del teatro Lirico Cagliari
Teatro Lirico di Cagliari, dal 26 maggio al 4 giugno
Verrebbe da chiedersi che cosa possa giustificare la ennesima riproposta di un’opera iper-rappresentata quale è La Traviata. Se non sia necessario, insomma, un’idea, un colpo d’ala che la giustifichi. Insomma: come far vivere il Teatro salvandolo dall’ archeologia? Come si può oggi, in tempi di matrimonio omosessuale, commuoversi ascoltando qualcuno che canti “Pura siccome un angelo/ Iddio mi die’ una figlia/ se Alfredo nega riedere/ in seno alla famiglia....”? . Eppure qualcuno ancora si emoziona. Forse perché la musica, quando tocca il fondo dell’animo, riscatta la rovina del tempo e la usura dei testi. Ma ad accendere le emozioni sicuramente aiutano le belle voci e le buone messe in scena. Che dire allora di questa Traviata? La regia è quella ormai storica (del 1992) di Henning Brockhaus, che ha fatto il giro del mondo per approdare al Lirico. La sua idea centrale (intorno alla quale ruota La Traviata di Brockhaus e rimasta immutata in questi 30 anni) è quella di duplicare lo spazio scenico, con il suo contenuto di cantanti, coro, balletto, riflettendolo in un enorme specchio inclinato che fruga negli angoli più riposti della scena e mostra il lato nascosto dei personaggi. Uno sguardo attento, millimetrico, spietato. Insomma lo specchio come luogo di realtà aumentata. “Il voyeurismo – dice Brockhaus – è esattamente quello che ho voluto rappresentare. Il racconto di Dumas, come l’opera di Verdi, è tutto attraversato dall’atteggiamento voyeuristico di una società ipocrita...” Certo, l’ipocrisia è il vizio che serpeggia in tutta l’opera e costituisce il ‘pendant’ dialettico della grandezza umana di Violetta. Ma aggiungerei, per venire ai giorni nostri, lo specchio, (o il suo equivalente funzionale: lo schermo) come medium voyeuristico, certo, ma anche luogo della mistificazione e del feticismo dell’immagine, dimensione virtuale, riflessa, nella quale viviamo vite sempre più immateriali. L’idea funziona, quindi. Sebbene sia vecchia di 30 anni. Venendo poi alle voci devo confessare che, sebbene sia stata molto applaudita, non mi ha del tutto convinto la Violetta. Gilda Fiume ha qualità indubbie: grande estensione, acuti sonanti, voce limpida, deliziosa nei pianissimo nei quali si spegne dolcemente vibrando. Peccato che non sempre si oda. Tanto da far dubitare del proprio buon udito. O per inspiegabili cadute, o perché coperta dall’orchestra. E la sua dizione non è sempre impeccabile. Tutt’altro. Buona prova quella di Della Sciucca, tenore leggero senza gran fuoco, forse persino un pò piatta, ma tutto sommato corretta, onesta. Eccellente invece Leon Kim, baritono perfettamente padrone della sua bella voce e della scena che riempie della sua pur non imponente presenza. Anche il coro del maestro Andreoli (lunga e onorata carriera al La Monnaie di Bruxelles) è stato eccellente, agile nelle voci e nei movimenti soprattutto nelle scene molto affollate della due feste. Bravi anche i ragazzi del balletto, sinuosi, precisi, anche se avrebbero forse potuto evitare il rumore, che a tratti si udiva, prodotto dai loro balzi sulle tavole del palcoscenico. Una buona Traviata, tutto sommato.
Attilio Moro