di Lev Tolstoj
Adattamento Gianni Garrera e Luca De Fusco
Regia Luca De Fusco
Scene e costumi: Marta Crisolini Malatesta
Luci: Gigi Saccomandi. Musiche: Ran Bagno
Coreografie: Alessandra Panzavolta
Proiezioni: Alessandro Papa
Aiuto regia: Luca Rocco
Interpreti: Galatea Ranzi, Debora Bernardi, Francesco Biscione, Giovanni Mangiù.
Giacinto Palmerini, Stefano Santospago, Paolo Serra, Mersila Sokoli, Irene Tetto
Produzione Teatro Stabile dii Catrania/ Teatro Biondo di Palermo
Teatro Verga dal 3 al 12 novembre 2023
Gli amanti, ma vale pure per le amanti, dopo un po’ si stancano, sentono che il loro rapporto si logora, si sfilaccia, perde d’intensità giorno dopo giorno. Ne sanno qualcosa due figurine ottocentesche come Madame Bovary e Anna Karenina, entrambe suicide, la prima col veleno, la seconda buttandosi sotto un treno. Ma è di questa seconda eroina che voglio incentrare la mia attenzione dopo aver visto in una pomeridiana al Verga di Catania, presente pure un’attenta scolaresca, lo spettacolo che ha lo stesso titolo del romanzo di Tolstoj, che a seconda delle edizioni può arrivare ad avere mille pagine: un vezzo, un’usanza forse del tempo che lo accomuna al suo collega un po’ più anziano, Dostoevskij. A differenza però dell’edizione di quindici anni fa, al Biondo di Palermo, ad opera di Nekrosius con attori lituani e italiani con Mascia Musi nel ruolo del titolo, divisa in tre atti, ventinove scene della durata di cinque ore, questa bella messinscena di Luca De Fusco, che ha condiviso l’adattamento del testo con Gianni Garrera, si articola in due tempi e dura due ore e quaranta con intervallo. Rendendo certamente meno faticoso seguire lo spettacolo, che si avvale d’un escamotage utilizzato in altre occasioni dal regista napoletano, (lo faceva pure Erwin Piscator un secolo fa), quello cioè di condensare le scene di contorno su un velatino posto lungo tutto il boccascena e proiettarvi sopra immagini e/o filmati (primi piani, frasi del testo, il ballo, la neve di Mosca, la corsa dei cavalli, il Teatro, scene d’amore) per collegarle ai due amanti: Anna Karenina appunto, vestita superbamente da una Galatea Ranzi, chiusa nel suo lungo abito merlettato di nero, sprizzante passione da ogni poro, innamorata pazza di Vronskij, l’ufficiale in verde di Giacinto Palmerini, verso il quale non volendo più nascondere i suoi sentimenti, decide di sbandierare ai quattro venti il suo amore. Siamo nel 1877 e per quanto la storia coinvolga nobili e borghesi d’una certa apertura mentale, “la cosa” non passa inosservata, sempre meglio nascondere le tresche di famiglia, come maldestramente fa Stiva Oblonskij (Stefano Santospago) fratello di Anna, mandando sulle furie la moglie Dolly di Debora Bernardi. A questi amorazzi Tolstoij contrappone un amore più sereno (forse il suo), quello di Kitty e Levin (Mersila Sokoli e Francesco Biscione) che convoleranno a nozze e condurranno una vita tranquilla. Tutto il contrario di quello che capita a Vronskij e Anna, che non trova per niente passivo il marito Karenin di Giacinto Palmarini, che ad un tratto vorrebbe sfidare a duello il rivale, da cui però capisce, anche se l’uccidesse, che non otterrebbe nessun vantaggio. E allora succede quello che capita a molti, anche ai giorni nostri, ovvero quello d’impedire alla moglie (o al marito) di vedere il figlio e rifiutare il divorzio, in una società ipocrita che condanna la relazione extraconiugale, accetta la gelosia del marito, il quale si lacera sempre di più, addirittura perdona la moglie pur avendo avuto una bambina dall’amante, spingendola tuttavia al suicidio, in una delle scene madri della letteratura europea: alla stazione di Mosca, somigliante quella architettata da .Marta Crisolini Malatesta (suoi pure i bei costumi) alla Gare de Lyon o di Milano per quell’aspetto ferroso-semilunare, contornata da vetri, con due piccole postazioni in alto e al centro, alla fine, la sagoma d’un treno sbuffante sotto il quale Anna si getterà pronunziando queste parole: «Laggiù! Proprio in mezzo! Castigherò lui e mi libererò da tutti e da me stessa». In evidenza pure la Betsy di Giovanna Mangiù, il Karenin di Paolo Serra, la Lidija di Irene Tetto, tutti colti a recitare pure le didascalie del romanzo, come ha fatto tanti anni fa Luca Ronconi al Teatro Argentina di Roma col Pasticciaccio di Gadda. Calorosi gli applausi finali per uno spettacolo che certamente serberò memoria. Gigi Giacobbe