di Rainer Werner Fassbinder
un progetto di Michele Di Mauro e Egumteatro
con Michele Di Mauro, Gisella Bein, Tatiana Lepore, Simona Nasi, Pasquale Buonarota, Massimo Giovara, Riccardo Lombardo
scene e costumi Horacio de Figueiredo
suono Otto Rankerlott
regia Annalisa Bianco e Virginio Liberti
Festival delle Colline Torinesi
Torino, Cavallerizza Reale, 7, 8, 9 giugno 2007
Il tema dell' autentico, che ci eravamo posti confrontando Angels in America come film di Mike Nichols e come spettacolo di Bruni-De Capitani, torna in modo prepotente per Un anno con 13 lune di Annalisa Bianco e Virginio Liberti. Porre in relazione il presunto originale e l' orgoglioso, esplicito, esibito derivato potrebbe in effetti essere un esercizio accademico. Tanto più lo sarebbe stato nel primo caso, in cui a monte di film e spettacolo c' era un autonomo testo drammaturgico (di Tony Kushner). Forse lo è di meno, un poco, solo un poco, nel caso di Un anno con 13 lune, dove un «terzo» che faccia da arbitro non c' è. Lo è meno, dico, tanto è evidente la differenza di qualità tra film e spettacolo. La potenza (l' autenticità) di Fassbinder è ineguagliabile: «Ogni 7 anni c' è l' anno della Luna: uomini la cui esistenza è determinata in gran parte dai sentimenti in questi anni soffrono in modo particolare di depressione. La stessa cosa avviene in modo meno rilevante in anni con 13 noviluni. Ma se un anno della Luna è un anno con 13 noviluni, si verificano spesso ineluttabili catastrofi personali». D' altra parte Bianco-Liberti, chiedendo a se stessi di spiegare perché abbiano scelto un simile testo essendo disponibile un certo numero di drammi dello stesso Fassbinder, non forniscono ragioni convincenti. Dicono: La risposta estetico-razionale è l' inevitabilità del confronto con un autore che «ha cinematografato il suo teatro e teatralizzato il suo cinema»; la risposta emotivo-irrazionale è perché «crediamo che il teatro debba e possa parlare ancora al cuore, al cervello, ai sensi e allo stomaco». Non c' è chi non veda, però, come una simile risposta sia generica, come potrebbe essere riferita a qualunque altra scelta, a qualunque altro film di Fassbinder o di altri. La vera risposta, quella che conta, lo spettacolo, non è tanto in sé insoddisfacente quanto, l' ho detto, imparagonabile al film. Gli ultimi giorni di vita di Edwin/Elvira, un transessuale, per Fassbinder rappresentano (è percepibile in ogni sequenza) un che di intimo, di necessario: per il regista tedesco raccontarli, o rappresentarli, è mettere in gioco se stesso. In Bianco-Liberti questa intimità/necessità non si capta. Il loro spettacolo, che si sviluppa secondo una linea nettamente orizzontale, ovvero narrativo-discorsiva, mai rinvia ad un momento di sintesi di senso. In altri termini, il senso dello spettacolo di Egumteatro appare essenzialmente volontaristico, come rivela l' uso d' una scenografia tanto povera quanto sfarzosa (tappeti, armadi di tipo ginnico o militare, attaccapanni, sedie). O, ancor meglio, l' impiego di una colonna sonora illustrativa e dunque ridondante. Non si coglie l' essenziale. Il tema di Fassbinder non è ovviamente la sessualità, o la transessualità. La transessualità è una metafora. Ciò che tormenta Edwin, prima o dopo l' operazione a Casablanca, è la domanda: chi sono io? L' unica risposta che riesce a darsi, quando s' innamora di Anton che lo rifiuta, è: io purtroppo sono un uomo. Anton vorrebbe una donna. Allora Edwin diventa Elvira. Ma come Elvira non piace a tanti altri. Allora, egli torna a non sapere chi è. Posso essere solo uno che piace a qualcun altro. Altro non sono. Poiché non sono nessuno, mi uccido. Il tema di Fassbinder, insomma, è il tema della vacillante identità, della sua impossibilità, della impossibilità (per tutti) di essere: se non volontaristicamente; in modo, appunto, inautentico. Nello spettacolo di Bianco-Liberti è d' obbligo segnalare la prova del protagonista, il bravissimo e toccante Michele Di Mauro. Gli altri sono Pasquale Buonarota, Simona Nasi, Tatiana Lepore, Gisella Bein, Riccardo Lombardo e Massimo Giovara.