di Franco Scaldati
Un progetto di Enzo Venezia e Mario Incudine
Regia Cinzia Maccagnano
Musiche originali: Mario Incudine
Scene e costumi: Enzo Venezia
Interpreti: Serena Barone (Lucia/Delicata), Paride Benassai (Settimo), Gino Carista (Il Cavaliere Sole),
Mario Incudine (Giovanni/Giovane, Angelo), Egle Mazzamuto (Fanciulla), Antonio Pandolfo (Bartolo), Salvo Piparo (Angelo/Salamone)
Musicisti: Salvatore Clemente, Michele Piccione, Antonio Vasta
Direttore di scena: Valentina Enea. Assistente di produzione: Enzo Trapani
Assistente ai costumi: Ilenia Modica. Assistente alle scene: Giusi Giacalone
Foto: Rosellina Garbo
Produzione Teatro Biondo Palermo
Dal 19 al 28 novembre 2021
Franco Scaldati è il nostro Beckett siciliano. Credo che anche la regista Cinzia Maccagnano e lo scenografo Enzo Venezia di questa nuova versione de Il Cavaliere Sole del “sarto di Palermo” datata 1979 andata in scena al Teatro Biondo in una produzione tutta siciliana, la pensino allo stesso modo. Allestendo uno spettacolo metafisico, definito dallo stesso Venezia nell’opuscolo di sala, come una cosmogonia, una nuova visione del cosmo in cui le stelle sono delle spille luccicanti, la luna e il sole sono le facce d’uno stesso satellite e che si può salire sulla luna solamente costruendo una scala di legno o arrivarci comodamente su un treno delle nostre ferrovie. Congetture espresse da alcuni personaggi del testo di Scaldati che potrebbero addirittura credere, come raccontatomi da un tale, che aldilà della curva dell’orizzonte marino si possa precipitare come se ci fosse giù un immenso burrone. Un orizzonte spoglio come la scena di Venezia (suoi pure i costumi) che sul palcoscenico del Teatro ha architettato un altro palco attraverso cui si accede tramite un passatoio leggermente in salita, quasi un teatro-nel-teatro per distinguere il mondo reale del quotidiano da quello surreale dei sogni. Ne è venuto fuori uno spettacolo godibile di 105 minuti quasi come le 105 mila lire che il Cavaliere Sole dello svanito Gino Carista in pigiama deve dare al sarto Angelo di Mario Incudine, protagonista quest’ultimo d’una bella colonna musicale dal sapore mediterraneo, eseguita dal vivo da un trio affiatato di musicisti (Salvatore Clemente, Michele Piccione, Antonio Vasta) cui si accodavano cantando tutti i protagonisti al punto che lo spettacolo potrebbe essere ricordato come una favola musicale. Incomprensibile per buona parte da chi scrive perché il testo di Scaldati è stato recitato in uno stretto dialetto palermitano (sarebbero stati graditi i sottotitoli in lingua) perdendo evidentemente quei punti che suscitavano ilarità e goduria. Tuttavia era comprensibile la sua natura lirica, ruotante attorno a dei personaggi che Scaldati doveva conoscere molto bene e che qui venivano sintetizzati da due ottimi protagonisti, Paride Benessai e Antonio Pandolfo nei panni di Settimo e di Bartolo, quasi Estragone e Vladimiro di Aspettando Godot, odoranti ingenuità, candore e poesia, cui s’accodava uno bislacco Salvo Piparo nei panni di Giovanni, una Serena Barone sempre brava e concentrata nei tre personaggi del Vecchio, di Lucia e Delicata, accanto allo stesso Incudine pure in tre ruoli, oltre quello del Sarto, anche quello del Giovane e del divertente Salomone vestito da “gallo” con tanta di cresta e di coda rosse, costretto la mattina a svegliare tutti su una torretta/pollaio in compagnia della “gallina Delicata, completando il cast la Fanciulla di Egle Mazzamuto sempre all’altezza. Uno spettacolo festoso salutato calorosamente alla fine da un pubblico tutto in mascherina, meravigliato di vedere alla fine una mega luna al centro della scena, da toccare quasi con mano, pensando come i personaggi sulla scena di entrare in quel “giardino incantato dove non si muore mai”.
Gigi Giacobbe