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EDIPO RE - regia Antonio Calenda

Edipo re Edipo re Regia Antonio Calenda

di Sofocle
regia: Antonio Calenda
traduzione: Raul Montanari
con Franco Branciaroli, Giancarlo Cortesi, Emanuele Fortunati, Gianfranco Quero, Alfonso Veneroso
e con Livio Bisignano, Tino Calabrò, Angelo Campolo, Oreste De Pasquale, Filippo De Toro, Luca Fiorino
scene: Pier Paolo Bisleri, costumi: Stefano Nicolao, luci: Gigi Saccomandi
Trieste, Teatro Rossetti, dal 6 al 11 ottobre 2009
Roma, Teatro Argentina, dal 9 al 21 novembre 2010

www.Sipario.it, 2 dicembre 2010
www.Sipario.it, 9 dicembre 2009
www.Sipario.it, 11 ottobre 2009
L'Edipo Re interpretato da un poliedrico Franco Branciaroli per la regia di Antonio Calenda si apre con il risveglio di Edipo su un tipico lettino da psicoanalista, al suo fianco un altro uomo, di spalle, che ascolta immobile la sua storia. Dietro, intorno, davanti e sopra di loro il coro velato, impalpabile, quasi fatto della stessa materia dei sogni, ci parla rilegato ad un altro luogo, appare da un passato confinato, per ora, al di là delle marmoree nere pareti della mente di Edipo.
"QUESTO GIORNO TI DARà LA VITA E TI DISTRUGGERà"
Nel breve volgere di un solo giorno, infatti, Edipo viene a conoscere l'orrenda verità del suo passato: Re di una Tebe contaminata dalla peste, Edipo, seguendo l'oracolo di Delfi le cui parole irrompono sulla scena riportate da Creonte, si mette in cerca dall'uccisore di Laio, dunque, beffardamente, di se stesso. Edipo e la sua determinazione a conoscere la propria identità.
Nella versione di Calenda (la cui compattezza sottolinea la rapidità con cui precipitano gli eventi e la verità sgretola le mura del palazzo di certezze in cui Edipo si è barricato), Franco Branciaroli incarna tre personaggi, Edipo-Tiresia-Giocasta, tre facce di un prisma attraverso cui si scompone la figura del Re. Questa scelta, sorretta dalla solidità e versatilità dell'Attore, acquisisce un funzionale valore simbolico che restituisce a pieno la chiave del cosiddetto complesso edipico, ovvero del desiderio di possesso esclusivo nei confronti del genitore dell'altro sesso: Edipo qui non possiede solo carnalmente la madre ma fagocita quella che in un passaggio si manifesta come un'ombra di donna, per restituircela poi come parte di sé. Si congiunge con Giocasta, torna nel grembo che l'ha generato e che , inesorabilmente partorirà davanti ai nostri occhi un embrione di verità. Il Fato derisore, infatti, fa pronunciare alla stessa Giocasta esortazioni a non dar credito agli indovini visto quanto era stato predetto a Laio, così proprio nel tentativo di rassicurare Edipo,Giocasta alimenta in lui il germe del dubbio.
La complessità della natura di Edipo è amplificata dalla scelta registica di far confluire in lui anche il personaggio di Tiresia. Edipo, quindi, possiede già in sé la conoscenza che lo accecherà e che riemerge dal suo recondito attraverso l'accusa del cieco veggente, ater ego con cui infine si troverà a condividere lo stesso buio e lo stesso modo di arrancarci dentro.
La capitolazione finale in cui il coro invade lo spazio-mente di Edipo come un corpo unico che illumina il suo nero regno per l'ultima volta, rende con forza l'impetuosa tragicità del conoscere.
Dunque Edipo, eroe dell'intelligenza umana o uomo che pecca di hybris e che paga l'aver voluto guardare dove non avrebbe dovuto?
Tracotanza o predestinazione scevra di responsabilità?
Edipo che si castra estirpandosi la vista, rimasto solo si riappropria di sé reincarnandosi nella figura inerte e silente rimasta finora di spalle.
Edipo ha ascoltato la storia diEdipo. Edipo ha analizzato e rivissuto il dramma di Edipo.
Lo sdoppiamento è un attimo, si consuma in un buio che separa ed unisce e ci mette di fronte al vecchio e cieco Edipo, che lentamente svanisce sul riecheggiare del perentorio "PER GIUDICARE UNA VITA ASPETTATE LA MORTE"

D.G

È buio il mondo di Edipo, fatto di contorni ed ombre. Sembra una lunga notte quieta su cui aleggia una misteriosa pestilenza, segno evidente del destino. L'inconscio strisciante, di cui la parabola dell'eroe sofocleo sembra prefigurare l'esistenza, squarcerà le tenebre gradualmente a rivelare una verità scomoda, a tracciare un percorso di conoscenza necessario, a sciogliere un nucleo irrisolto. Vegliare o dormire: Edipo è incerto. In lui si incarnano anche altri personaggi, mentre giace sul lettino come in un tormentata seduta psicanalitica. Nei momenti di trance Tiresia e Giocasta gli rubano la voce e il corpo al fine di insinuare il dubbio di aver perpetrato una colpa incommensurabile... Si nutre di echi freudiani ma non solo il nuovo allestimento che il Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia (in collaborazione con il Teatro di Messina e il Teatro de Gli Incamminati) offre all'Edipo Re di Sofocle. La rilettura del testo, così emblematico per tutta la civiltà occidentale, si vivifica con apporti speculativi del '900 grazie alla meditata regia di Antonio Calenda, risultando intrisa di induzioni contemporanee: da Freud, appunto, che nel classico aveva individuato le radici del "complesso nucleare delle nevrosi" all'antropologo francese René Girard con la sua indagine sul "desiderio mimetico" a spiegare il conflitto che sorge in una comunità quando tutti anelano alle stesse cose, superato solo dopo aver trovato una vittima espiatoria. Densa di interrogativi quindi la drammaturgia scelta, proposta poi in chiave spettacolare con un'oscurità materica, totale (comunicata con i velati neri nella scena pensata da Pierpaolo Bisleri e con le musiche di Germano Mazzocchetti) da cui emerge la silhouette supina di Edipo entrato in analisi. Franco Branciaroli ne offre un'interpretazione acuta, concentrata in stile "beniano" sulle dinamiche della fonazione che reifica, che diventa performativa di identità diverse. L'attore partecipa con generosità a un processo di purificazione interiore vivendo quasi medianicamente in sé altri personaggi e dialogando con Creonte (Alfonso Veneroso), coreuti, corifei e messaggeri (tutti rigorosamente di sesso maschile) nell'intento di fondere il vissuto consapevole con quella parte della psiche dove nascono istinti e pulsioni. Nel finale, solo una luce annientatrice, contrappasso straniante alla cecità che lui deciderà di infliggersi, placa l'immenso travaglio.

Elena Pousché

Branciaroli porta Edipo dallo psicanalista

Chi è quell'attore, dota­to di grande talento che non ha nei suoi traguardi e nel momento in cui è giunto all'apice della sua carriera, come è di Fran­co Branciaroli, il bisogno di confrontarsi con la gigante­sca figura di Edipo? Incon­trarsi con quella che è forse la più grande tragedia mai scritta, Edipo re di Sofocle. Il suo schema perfetto, la pro­gressione drammaturgica senza la più lieve smagliatu­ra, e mai tragitto di una co­scienza dall'oscurità alla lu­ce a trovare completa e ar­moniosa realizzazione come nei possenti versi del tragico greco. Nell' Edipo re che, ap­punto con Branciaroli, nella traduzione di Raul Monta­nari, rilancia, sulla scena del triestino Rossetti lo Stabile del Friuli si riassume in sen­so epico del teatro, la tragi­cità assoluta che dal buio informe ricava la figura del­l'uomo. Di quell'uomo Edipo che dalla pienezza di una vita ap­parentemente felice, monar­ca, padre amato, scioglitore di enigmi, Edipo che crede di essere sfuggito per sempre all'oracolo che lo prediceva parricida e incestuoso preci­pita nel dolore; in una spa­ventevole rivelazione ad ac­corgersi di essere doppia­mente colpevole. E dunque si potrebbe pensare che egli sprofondi nel nulla. Ma così non è. Edipo grida che non v'è più posto per lui sulla ter­ra, si acceca e invoca che si compia per lui il suo destino di perdizione. Eppure in quel tragico destino non si è per­duto si è forse ritrovato. Co­me Giobbe. Viene restituito vivo perché giunto alla verità. Tutto questo ci dice Sofocle nel suo capolavoro che sca­valca i secoli e dunque sem­pre attuale. Sempre aperto a nuove ricognizioni. E che An­tonio Calenda, dandoci uno spettacolo non mancante anche di bella suggestione visiva, sembra offrire su un piatto d'argento a Brancia­roli. Piatto d'argento perché dando della tragedia una let­tura contemporanea, tutta inclinata sul côtè psicanaliti­co, meditato sugli studi di Freud ma anche di René Gi­rard, permette all'attore di dar libero sfogo a tutte le sue capacità espressive. Edipo dunque a diventare il pa­ziente da seduta psicanaliti­ca e dal famoso lettino scio­glie e cerca di sciogliere i no­di della sua coscienza. Bran­ciaroli a farlo giostrando ma­gistralmente su quei registri vocali (dall'acuto al grave, dal beffardo al falsetto) che so­no suoi tipici. Sul lettino qui ad apparire sommerso da va­riopinte coperte orientali, a­dagiato o a muoversi nevro­ticamente denudando la sua anima davanti a un perso­naggio muto e di spalle che può essere anche il suo dop­pio. Su un piatto d'argento poi, perché il regista ancora per­mette all'attore di interpre­tare (solo per vezzo, ma per rendere più coesa la narra­zione), più ruoli, oltre a quel­lo di Epido, Tiresia, il mes­saggero, anche Giocasta. Meno memorabile magari di altre edizioni, questo Epido re in cui Calenda opera bene anche con il coro (attori del Teatro di Messina che ha cooprodotto con il Teatro de­gli Incamminati) lascia però un segno nuovo e forte. Da vedere.

Domenico Rigotti

Ultima modifica il Giovedì, 19 Settembre 2013 08:37

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