Di Filippo Gili
Regia Filippo Gili
Con Pier Giorgio Bellocchio, Anna Ferzetti, Daniela Marra, Vanessa Scalera
Assistente alla regia Flavia Rossi
Scene e costumi Alessandra De Angelis, Giulio Villaggio
Disegno luci Giuseppe Filipponio
Musiche Paolo Vivaldi
Foto Luana Belli
Ufficio stampa Rocchina Ceglia
Produzione Altra Scena
Al Teatro Sannazaro di Napoli, dal 25 al 27 marzo 2022
La verità, dicono i proverbi e i modi di dire, fa male, ma in ogni caso è sempre la scelta migliore. Almeno così credono i più. In una famiglia, si sa, spesso i segreti tra i vari componenti sono all’ordine del giorno e si suddividono nelle cosiddette bugie buone, quelle che, dette per il solo motivo di non far dispiacere qualcuno, non comportano nessuna conseguenza dolorosa o difficile da sopportare e le bugie che invece mostrano sempre una situazione da cui è difficile uscire e che, a lungo andare, pesano sulla coscienza e finiscono col far dire altre bugie per evitare di raccontare una sola piccola verità iniziale. Quello che manca il più delle volte è il coraggio, perché per affrontare la vita e la verità ci vuole coraggio, soprattutto davanti alle persone che amiamo e che fanno parte della nostra famiglia e quindi conosciamo o crediamo di conoscere così bene. Il regista Filippo Gili sceglie, in quest’opera tragica contemporanea, degli attori che sanno regalarci un recitato concreto, diretto, veloce, scambiandosi le battute con i tempi giusti, con espressività e con partecipazione, restituendo un’interpretazione che mescola il quotidiano al surreale e che compone un quadro familiare al tempo stesso vero e sconvolgente. Tre sorelle, Anna Ferzetti, Daniela Marra e Vanessa Scalera, che forse consociamo più per ruoli televisivi e fiction Rai, di cui una in sedia a rotelle a causa di un incidente e una di loro, incorreggibile giocatrice d’azzardo, che porta il peso della verità, di essere stata lei a provocarlo, quell’incidente, senza che il resto della sua famiglia ne sia a conoscenza. Eppure un estraneo sa, consoce tutto di quel giorno; un fisioterapista (Pier Giorgio Bellocchio, cinico, ma in fondo anche empatico) o forse molto di più: un angelo custode? Un mago? Un demone? Un genio della lampada capace di esaudire un solo desiderio in cambio della verità e della ricerca dentro di sé di ciò che davvero si vuole? Tocca quindi scegliere: prima se credere o meno alla razionalità oppure a questa strana magia surreale e poi cosa desiderare: di far tornare l’uso delle gambe alla sorella costretta in sedia? Di far tornare in vita quei due ragazzini morti durante lo stesso incidente? Oppure altro, qualcosa che magari nemmeno si sa di desiderare, di volere dal profondo del cuore? La scenografia è semplice e fissa: riproduce e riprende gli interni della casa, facendo da sfondo a vicende quotidiane da cui parte anche il titolo di questa pièce, ovvero un tacchino portato in tavola dalla maggiore delle sorelle, che lei stessa, in quanto sua ricetta, ha intitolato “ovvio destino”. Ma qual è, davvero, l’ovvio destino? Cosa si sta tessendo sulla tela della vita, di già scritto o ancora da scrivere? Cosa vuole il destino per queste tre sorelle, che litigano, si arrabbiano, si nascondono l’un l’altra la verità, incapaci poi di farci i conti anche da sole? Nella prova di una recitazione tagliente e ancorata alla realtà, a quel verismo che restituisce uno spaccato familiare, scopriamo soltanto sul finale che il vero desiderio, forse, non è mai tanto altruista, ma, al contrario, se non stiamo attenti a ciò che scegliamo, possiamo ritrovarci forse con un terno secco, ma, in fondo, profondamente soli.
Francesca Myriam Chiatto