Gruppo della Creta e Teatro Basilica presentano
Drammaturgia di Anton Giulio Calenda
Regia di Alessandro Di Murro
Aiuto regia Tommaso Cardelli
Assistenti di regia Ilaria Iuozzo e Jessica Miceli
Luci Matteo Ziglio
Musiche Enea Chisci
Costumi Rita Guardabascio e Beatrice Nobili
Direttore di produzione Pino Le Pera
Coproduzione Fattore K
Il Regno: Valeria Almerighi, Jacopo Cinque
Matteo: Alessio Esposito, Bruna Sdao
Stagione 2021
Teatro Basilica di Roma 5 Novembre 2021
Prosegue al Teatro Basilica di Roma il polittico La regola dei giochi con due nuovi atti unici: Il Regno e Matteo.
Per spiegare questo progetto, si potrebbe ricorrere a questa citazione, acconcia per l’occasione, di Francesco Calasso: “Le linee, dunque, sono fatte di punti. In altre parole, esistono soltanto i problemi concreti, singoli, aree che lo storico delimita, sulle quali scava le fondamenta, innalza la sua costruzione, utilizzando a suo arbitrio tutto il materiale che è necessario al suo scopo, così come ha utilizzato, per individuare quelle aree, tutta l’esperienza ch’era nel suo pensiero, tutta la perizia ch’egli aveva della sua arte”. Anton Giulio Calenda non ha voluto raccontare una storia, fissandola in una trama definita. Semmai, ha preferito porre delle questioni – i punti cui accennava Calasso – e che lo spettatore, o il critico nella fattispecie, deve unire secondo gusto ed esperienza.
Il Regno rappresenta la situazione, di un preciso momento, dell’esistenza di un sovrano di un piccolissimo principato che, di punto in bianco, viene sconvolta da un dubbio interiore che lo tormenta ed erode nelle sue certezze. Tutto questo viene raccontato al pubblico da una voce fuori campo che poi si concretizza nelle fattezze d’una donna moderna, truccata, algida, simile alle soubrette insipide e prive di talento che si vedono in tv.
Matteo, invece, mostra il dramma vissuto da una coppia di depravati: il suicidio di loro figlio, insidiato sin da piccolo da un manutentore, che ha approfittato dell’innocenza del bambino per soddisfare il suo pruriginoso desiderio.
Ripensando a Ucronia e Soldato, questi due nuovi atti in che modo possiamo legarli tracciando la nostra personale linea? Un’ipotesi potrebbe essere questa: Ucronia e Il Regno rappresentano le reazioni dell’individuo completamente spossessato delle sue capacità di raziocinio, di critica, valutazione, scelta, gusto: egli è divenuto un automa in mano a un potere esterno: presente o futuro ch’esso sia. Soldato e Matteo, invece, rappresentano l’atteggiamento degli uomini fra loro in relazione a un passato inteso non come storia, ma come bagaglio di esperienze e credenze, fedi e certezze che imbrigliano le menti, le quali così divengono incapaci di poter vivere libere dalle pastoie d’una finzione appioppata a bella posta alla realtà. Finzioni nelle quali si finisce per aderire, credendole istanze uniche di verità che hanno una sola conseguenza: impedire agli individui in tale situazione di vivere in modo libero, cioè senza interessi da difendere, bisogni da soddisfare, paure da sedare.
Ha particolarmente colpito la recitazione mimica di Jacopo Cinque nei panni del sovrano in Il Regno, dotata di un’espressività condotta al limite del caricaturale, ma senza eccedere e mantenendosi in una condizione di equilibrio e misura.
La regia di Alessandro Di Murro, ancora una volta, si è dimostrata notevole per saper sciogliere in invenzioni sceniche a carattere simbolico le varie descrizioni drammaturgiche.
Pierluigi Pietricola