di Ingmar Bergman
regia di Maurizio Panici
scene e costumi: Aldo Buti
con Rossella Falk e Maddalena Crippa
Pavia, Teatro Fraschini, dal 5 al 10 febbraio 2008
Roma, Teatro Eliseo, fino al 4 maggio 2008
Milano, Teatro Manzoni, fino al 25 maggio 2008
Napoli, Teatro Diana, dal 15 ottobre 2008
Se trasferire un film sul palcoscenico rappresenta comunque un'impresa disperata, trasferirne uno di Bergman è semplicemente impossibile. E ne fornisce l'ennesima ed esaustiva dimostrazione lo spettacolo che ha aperto la stagione del Diana: «Sinfonia d'autunno», tratto dall'omonimo film del '78 interpretato da Ingrid Bergman e Liv Ullmann. Si tratta, come sappiamo, dell'incontro fra Charlotte, una celebre pianista, e sua figlia Eva, sposata col pastore protestante Viktor. Non si vedevano da sette anni. Ma l'incontro, sollecitato da Eva con una lettera, non fa che riportare a galla tutta l'incomprensione e tutta l'incomunicabilità da sempre esistite fra le due donne. Insomma, la sinfonia del titolo - priva del movimento finale, ossia di una soluzione - è quella dei rimpianti e dei rancori. Ora, l'impossibilità di cui dicevo non riguarda solo lo specifico tecnico ed espressivo del cinema in generale: a cominciare dai salti di spazio e di tempo e dalle dissolvenze incrociate, che il regista Maurizio Panici tenta di riprodurre attraverso l'espediente (ormai trito) degli arredi che entrano ed escono scorrendo su ruote; riguarda anche, e soprattutto, alcuni postulati teorici per Bergman fondamentali e che, da lui perfettamente inverati nei film, nel nostro caso risultano, per l'appunto, assolutamente inapplicati. Sosteneva per esempio il maestro svedese: «Quando si recita una parte, non si è mai un "io", bensì sempre un "tu". Non devi concentrarti su te stesso, ma sempre sui tuoi compagni». E come la mettiamo, allora, con il fatto che nello spettacolo di Panici i dialoghi vengono sistematicamente sostituiti dall'alternarsi di monologhi? Senza contare che il teatro conosce solo l'opzione del presente. E qui i personaggi s'affannano a raccontare il passato: da un lato dimenticando che, per restare in ambito scandinavo, Ibsen riuscì a rendere teatralmente il passato solo processandolo; e, dall'altro, determinando non meno sistematiche stasi proprio rispetto a quel ritmo che per Bergman era «la cosa più importante, più importante di tutto il resto». Infine, quello che è il punto di forza dello spettacolo - la presenza di due attrici di rango come Rossella Falk (Charlotte) e Maddalena Crippa (Eva) - si rovescia paradossalmente nel suo contrario. E mi spiego anche qui con un esempio. Quando la Falk entra inguainata in un eclatante abito da sera rosso, si produce certissimamente un forte impatto in termini di spettacolarità; ma si produce anche un effetto che costituisce l'esatto contrario di quell'«artlessness in art», ossia l'arte celata, che Bergman aveva mutuato da Strindberg, il suo - lo ricorda nelle proprie note lo stesso Panici - autore di riferimento. In conclusione, rimane la prova maiuscola offerta dalle due protagoniste, discretamente affiancate da Marco Balbi nel ruolo di Viktor. Ed è davvero un gran bel duello fra la classe e la «classicità» della Falk (che per giunta manifesta un ammirevole attaccamento al lavoro, appoggiandosi al bastone in vista di un intervento chirurgico al menisco) e la recitazione nervosa, sottile e modernissima della Crippa (le due nella foto qui sopra in una scena). Ma, ripeto, la loro è una prova che va considerata indipendentemente dallo spettacolo. Ed è in questo senso che appaiono totalmente giustificati e meritati gli applausi scroscianti e le grida di «brave, brave» che le hanno salutate al termine della «prima».
Enrico Fiore
La versione teatrale di «Sinfonia d'autunno» che lo stesso Ingmar Bergman trasse dal suo film con Liv Ullman e Ingrid Bergman chiude con un colpo d'ala la stagione al Manzoni, protagoniste Maddalena Crippa e Rossella Falk, due signore della scena che sullo stesso palcoscenico hanno ricevuto il Premio Duse. Un anno fa, al milanese Teatro dell'Arte, avevamo avuto una versione sperimentale con Pia Lanciotti e Clara Galante; l'allestimento al Manzoni (regia di Maurizio Panici, musiche da Grieg e Chopin, con Marco Balbi a fianco delle protagoniste) connota l'incontro-scontro tra madre e figlia che è il perno della pièce come un dramma strindberghiano percorso da vibrazioni freudiane; e la Falk e la Crippa - manco a dirlo perfette nei loro ruoli - arrivano a trasmettere al pubblico (il che non era facile) emozioni profonde. Nella scena di Buti - una canonica come astratto, algido spazio mentale, con accordi di pianoforte che incidono sipari musicali - si consuma in 36 ore il confronto di odio-amore tra Charlotte, pianista famosa che ha scelto di «sublimare» nell'arte autoritarismo e nevrosi, e la figlia Eva, sposata al pastore protestante Viktor, privata dalla morte di un figlio, che si occupa della sorella handicappata e che l'egoismo inconsapevolmente crudele della madre ha privato dell'amore materno. La maschera delle convenzioni fra Charlotte (la Falk) e Eva (la Crippa) va in pezzi dopo sette anni di separazione, testimone ansioso ma inane Viktor (il Balbi). La Falk sa dare con maestria accenti di inconsapevole innocenza al suo difficile personaggio, a tutto beneficio della credibilità del testo, e la Crippa vibra di dolorosa verità nel denunciare, tra sussurri e grida, la sua fame di affetto che, frustrato, è diventato solitudine, rabbia, rancore. L'esecuzione al pianoforte di un preludio di Chopin (bloccata Eva, dominatrice Charlotte) è la tela sonora sottesa dello scontro fra madre e figlia: alto squarcio di teatro che mette in piena luce non soltanto l'assoluta professionalità delle due attrici ma la loro sensibilità; ed è qui che la pièce - sotto il limpido, intelligente controllo di Panici sa raggiungere lo spettatore con i fantasmi del subconscio. Dai suoi fantasmi Charlotte alla fine fugge, nella lettera con cui la insegue Eva trova pietà e comprensione.
Ugo Ronfani
Dramma impietoso e sottile nato per il teatro e divenuto nel 1978 un celebre film, «Sonata d' autunno» di Ingmar Bergman è lo scavo nei sentimenti di una madre, Charlotte, donna affascinante, grande pianista e grande egoista, e di una figlia, Eva, bruttina, mediocre pianista dilettante, sposata senza amore a un pastore protestante dal quale ha avuto un figlio, annegato a quattro anni. Le donne sono legate da un rapporto difficile, carico di rancori e di rimpianti. L' incontro tra le due avviene dopo sette anni di lontananza a casa di Eva, dopo la morte del compagno di Charlotte. Un incontro segnato da asti antichi, rinnovate insofferenze e confessioni, alla ricerca di una difficile ma forse non impossibile intesa. Lo spettacolo, con la regia di Maurizio Panici che ambienta la storia in uno spazio bianco, quasi mentale, vive delle belle interpretazioni di Rossella Falk e Maddalena Crippa. La prima è una madre, brillante, allegra egocentrica, che ama la vita e l' ha sempre affrontata con volontà ferina, una donna cui la grande attrice da toni di forza, di svagata positività e di nascosti, intimi tormenti. Crippa è una figlia mai ovvia nel suo travaglio esistenziale, anche lei una donna dalla grande forza interiore. Ed è proprio su questo piano che le due interpretazioni si incontrano in un fortunato gioco alchemico. Bravo anche Marco Balbi, il pacato e riflessivo pastore.
Magda Poli
Anche se Ingmar Bergman ci ha lasciati, i fantasmi del suo mondo interiore continuano a viverci accanto come perpetui contemporanei. Dalla miniera di valori delle creazioni cinematografiche si sono estratti materiali preziosi per il teatro. Addirittura di Sinfonia d'autunno del 1978 sono andate in scena a distanza ravvicinata due riduzioni: nel 2007 al milanese Teatro dell'Arte l'allestimento di Federico Olivetti a sfondo psicanalitico e intitolato più correttamente Sonata d'autunno; in questi mesi – a Roma, ora, al Teatro Eliseo –, con lo stesso titolo del film, una diversa messinscena curata da Maurizio Panici e imperniata sulla presenza complementare delle due attrici protagoniste, Rossella Falk e Maddalena Crippa.
La storia è nota a molti. Una madre, celebre concertista, Charlotte, fa visita alla figlia Eva dopo anni di assenza, anche di segni tangibili dell'affetto materno; il ricongiungimento sembra riavvicinarle sentimentalmente e invece fa esplodere accuse vicendevoli di torti e mancanze, egoismo e indifferenza, persino di odio viscerale, sotto gli occhi discreti del marito di Eva, pastore protestante; fino all'insostenibilità da parte di Charlotte e alla sua nuova fuga. Solo segno di speranza la lettera speditale dalla figlia che vuol recuperare un legame vero «con la pietà e la comprensione ». È il messaggio di un Bergman non disperato, il suo invito «a comunicare » anche con il linguaggio del corpo.
Di questa autoanalisi personale, sotterranea in tutta l'opera dell'autore svedese, Maddalena Crippa è eccellente interprete, nei tormenti e negli abbandoni.
La Charlotte della Falk, sempre signora della scena, insieme alla nevrosi ha qualche piccolo slittamento nel grottesco che in platea sembra divertire, forse non volendo. Al termine comunque consensi entusiastici per entrambe e per Marco Balbi, solido pastore.
Toni Colotta
Inutile il paragone con l'omonimo film: la Sinfonia d'autunno di Ingmar Bergman, messa in teatro da Maurizio Panici e interpretata da una coppia di attrici di primordine (all'Eliseo fino al 4 maggio) è ovviamente "un'altra cosa". L'anatomia dello spietato rapporto madre/figlia (nell'opera cinematografica si affida al binomio "psicanalitico" Liv Ullman-Ingrid Bergman) vive comunque intera. Così come intatta, via via sulla scena, fiorisce la brechtiana perplessità dell'unico maschio a disposizione, Viktor, pastore protestante marito di Eva e suocero della celebre Charlotte, concertista di pianoforte. Sono diverse le atmosfere. Il messaggio firmato Panici, più carnale ed enfatico, arriva agli spettatori con un percorso inverso rispetto al film: prima ai cuori, poi ai cervelli. E le due interpreti (intensissima, nordicamente ascetica la Crippa; per contro, Falk bella e rutilante, superlativa nel pieno esercizio del suo imperio corporeo e della sua arte) fanno tesoro della teatralità per costruire a vista emozioni a tutto tondo. La figlia colpisce con furore il monolitico ego della madre artista pur senza incrinare la propria scelta di vita: un'esistenza affettuosa, quasi monacale, dedicata al benessere quotidiano del consorte, all'assistenza di una sorella subnormale (della quale Charlotte non si è mai occupata) e al patologico discorrere con Erik, il figlio annegato da piccolo. Da qui parte, non a caso, una redenzione possibile. Quando Charlotte fugge dalle consapevolezze e dal rimorso (in agguato fra una cifra iperbolica e l'altra del conto in banca) per riprendere la corsa della vita, Eva matura in sé, sempre senza chiedere aiuto al marito (Marco Balbi, sapiente nella brevità del ruolo) il perdono eventuale, la prospettiva senza data di "far famiglia" con il narciso che l'ha generata.
Pochi segni scenografici e pochi oggetti bastano, ad Aldo Buti, per dare ambiente clinico alla pièce. I costumi di Lucia Mariani "parlano" con le attrici, assicurando ai loro personaggi un guscio perfetto.
Rita Sala
Sembra strana la fortuna toccata in teatro ai copioni cinematografici di Ingmar Bergman. Appare impossibile che i capolavori del genio svedese che, sullo schermo, ci hanno commosso e incantato, conservino sul palco la loro dinamica emotiva senza tradire il tragico esistenzialismo che il maestro conferiva alle sue dolenti figure. Soprattutto alle sue donne magicamente sospese tra l'evocazione di un passato affidato al lampo intermittente della memoria e il concitato realismo del presente da cui tentano di fuggire. Ma se il primo amore di Bergman fu la scena cui fino all'ultimo si conservò fedele, s'impone la constatazione della natura anfibia delle sue ultime prove.
Tra cui figura, ai primi posti, Sinfonia d'autunno concepita come omaggio bifronte alla sua interprete prediletta Liv Ullman e a Ingrid Bergman, la più grande maschera del cinema scandinavo esule prima a Hollywood e poi nell'Italia di Rossellini. La storia di una donna, frustrata nelle ambizioni artistiche dalla prepotente personalità della madre, pianista di rango internazionale, che tanti anni prima l'abbandonò al suo destino tutt'uno all'altra figlia, nata menomata nell'anima come nel corpo, ancora oggi continua a suscitare emozione per la superba prova della due attrici e per la chiusa del soggetto. Che, dopo un drammatico raffronto tra l'egoismo dell'una e la suadente malinconia dell'altra, termina nell'interrogativo se sia possibile la convivenza tra gli opposti impulsi di genitori e figli.
Trasportata sulla scena con sensibilità e intelligenza da Maurizio Panici, la pièce rinuncia a certi colpi di scena come l'incontro tra la madre e la figlia subnormale per concentrarsi, con buona pace della figura maschile restituita con verità e pudore da Marco Balbi, sul duello tra le due contendenti. Che gareggiano in una gara di virtuosismo quasi impensabile nel teatro italiano. Con un accentuato contrasto tra la rigida determinazione luterana che Maddalena Crippa regala a un personaggio di stampo ibseniano e una Rossella Falk che, dopo esserci apparsa più radiosa che mai alla sua entrata in scena, indaga con pazienza su quel disturbo della personalità che, nello stesso soggetto, coincide con la creatività dell'artista. In un mirabile concertato di toni sottesi, ire represse e inquietanti stupori che ci fanno sperare in altre grandi variazioni sul tema.
Enrico Groppali