di Giacomo Puccini
direttore: Gustavo Dudamel
regia e scene: Franco Zeffirelli
costumi: Piero Tosi
con Fabio Sartori, Svetla Vassilieva, Nino Machaidze, Luca Salsi
Milano, Teatro alla Scala 2008
In estate la «Bohème» è così così
Oh, c'è un avanzo, alla Scala: avanzo di stagione, con le recite restanti dopo uno sciopero dei dipendenti, schifiltosi verso uno stipendio che, paragonato con quelli della scuola o con i compensi dei musicisti fuori dai carrozzoni degli enti del teatro d'opera potrebbe farli felici, e insensibili ai diritti delle masse, cioè del pubblico; avanzo di produzione, perché è la gloriosa Bohème di Puccini nell'allestimento quarantacinquenne di Zeffirelli forse all'ultima apparizione, affidato al volonteroso giovane venezuelano Dudamel, entusiasta alla buona, che la riporta indietro ai tempi in cui dal podio si faceva fracasso nei fortissimi e quando si cambiava tempo non ci si portava sempre dietro tutta l'orchestra.
Peccato. In questi casi anche le premesse buone diventano un po' inerti. I cantanti hanno paura a cantar piano, a fraseggiare con poesia. Il tenore Sartori, bella voce, altre volte molto espressiva, fisico rozzo che potrebbe però governare meglio, solfeggiava alla buona; Svetla Vassileva doveva far ricorso a tutta la sua meravigliosa intensità per trovare il fraseggio giusto, ed era splendida nell'ultimo atto; la stessa Nina Machadze, lucente perla delle giovani cantanti uscite dall'Accademia del teatro, pur facendo la sua bella figura, sembrava non avere riflettuto molto sulle precise indicazioni di Puccini nei livelli sonori e nei colori. Ma intanto diamo il benvenuto a Massimo Cavalletti fra i baritoni d'alto bordo: intenso, voce piena, parola servita a puntino: auguri di eccellente futuro.
Pubblico estivo, ho finto di abboccare a un bagarino che mi ha offerto un biglietto di platea a 400 euro, mica male. Tanto per dire come dev'esser l'opera di grande repertorio ad avere la maggiore presenza alla Scala. Anche perché non fa cultura meno dell'altra, e risponde alle maggiori attese. Sempre che poi le recite ci siano.
Lorenzo Arruga
Bella «Bohème» nel clima teso della Scala
Quella della Scala sembra la classica situazione di un «luglio caldo»: le prime tre recite di Bohème saltate per sciopero, i dirigenti del teatro che abbandonano la trattativa sindacale, un manipolo di «orfani» di Muti e Abbado che lanciano volantini in platea quando finalmente l' opera va in scena. In realtà la situazione pare destinata a volgere a buon fine, e in tempi non salomonici. Una parte dei sindacalisti riconosce che nella battaglia sul contratto integrativo di lavoro il teatro si è spinto molto vicino alle loro richieste e che il clima generale induce a chiudere la trattativa in tempi brevi, prima cioè che possano giungere direttive da Roma che difficilmente sarebbero a favore delle maestranze. I sindacati si sono comunque confrontati ieri e chiederanno a Lissner un nuovo confronto, cui il Sovrintendente sarebbe disponibile, ma solo per ribadire la propria linea. È ottima cosa tuttavia che lo stato di agitazione non abbia influito sulla serenità artistica del teatro, che si è invece confermata appieno nella recita di sabato: l' ennesima ripresa della Bohème nell' edizione che Zeffirelli approntò nel 1963 (con Karajan sul podio) reca quale principale novità la presenza in buca di Gustavo Dudamel. Dunque il più longevo degli spettacoli scaligeri - uno dei pochi riproponibili del passato - con la più giovane delle bacchette di alto livello. Sì, d' alto livello, perché nell' occasione il musicista che viene dal Venezuela si dimostra assai più che una promessa piena di talento, ma un interprete vero, sensibile, capace. Non sempre doma il traffico di punta del secondo atto (soli, coro, coro di bambini più comparse: sulla scena non ci entra nemmeno uno spillo) e in ciò lascia trapelare un' ancora modesta esperienza, ma tra il giovanilismo bohèmienne del primo atto e il sapore elegiaco dell' ultimo disegna una gamma di colori che è l' esatto opposto della routine trionfante nelle mille recite di quest' anno di celebrazioni pucciniane. Felici intenzioni, dunque, che a Milano diventano realtà. Ed è questo che fa la differenza tra la Scala e gli altri teatri italiani: tutto sembra dire che di Bohème estiva si tratta ma si assiste a uno spettacolo che altrove sarebbe degno di un' inaugurazione in pompa magna. Inimitabile per pertinenza idiomatica, ad esempio, il suono dell' orchestra. Buona la prova di Fabio Sartori (Rodolfo) e Svetla Vassileva (Mimì). Si distingue Nino Machaidze (Musetta). Benissimo Luca Salsi (Marcello). E il pubblico ha decretato un successo schietto e fragoroso.
Enrico Girardi